Recensione / Pearl Jam - Dark Matter

Credo possiamo essere tutti d'accordo sul fatto che Dark Matter, il dodicesimo lavoro in studio dei Pearl Jam sia uno degli album più attesi dell'anno. Questo perchè, oltre alla fama planetaria del gruppo, probabilmente nel popolo del rock si spera sempre che qualcuno dei grandi nomi del classic rock (Springsteen, U2 etc...) riesca a tirar fuori un album che contrasti la depressione globale nella quale il mondo del rock si trova a sopravvivere. 

Più di un addetto ai lavori ha espresso nei mesi scorsi scetticismo rispetto ad un ritorno ai vecchi fasti della band di Seattle, argomentando che gli ultimi dischi avessero rappresentato un passo indietro di ispirazione di Vedder & co. Vero? In parte. Lightning Bolt e Gigaton non possono essere nemmeno lontanamente paragonati alla triade che ha aperto la carriera dei Pearl Jam e ne ha decretato il successo planetario (per chi non lo sapesse, la sequenza killer Ten, Vs, Vitalogy), un po' perchè di tempo ne è passato tanto - trent'anni - ed un pò perchè la band sembrava essersi adagiata alla ricerca di una strada propria. Ad essere totalmente sinceri però, nessuno di questi due lavori merita l'insufficienza, perchè i Pearl Jam non saranno mai capaci di fare un brutto disco e perchè anche in album meno ispirati comunque ci sono delle "zampate" di talento ("Sirens", "Pendulum", "Dance of Clairvoyants", "Seven o' clock", solo per citarne alcune) per le quali tante altre band in giro farebbero carte false. 

Quindi diciamolo subito: Dark Matter è un disco bello, molto bello e superiore a molti album che lo hanno preceduto. Probabilmente, per risalire ad un lavoro così convincente, bisogna tornare a Yield (1998), considerato - a ragione - uno dei dischi aurei dei ragazzi di Seattle. Questa posizione nei primi posti tra i lavori del gruppo viene raggiunta grazie ad una parola che un po' i Pearl Jam avevamo dimenticato: emozione. Ho avuto modo, alla mezzanotte di venerdì 19 Aprile, giorno di pubblicazione del disco, di fare un ascolto collettivo dell'album con altre 60 persone ed era tangibile, mano a mano che le canzoni andavano avanti, che questo sentimento aleggiasse tra gli ascoltatori. 

Emozione infatti è la parola giusta per descrivere il finale di "Wreckage", un brano forse un po' troppo derivativo di Tom Petty, ma al momento giusto arriva un crescendo che lascia senza fiato. Così come "Waiting for Stevie", un ritorno inatteso ma graditissimo alle atmosfere di "Breathe" (inserito nella colonna sonora del film "Singles"), con un assolo imperdibile di Mike McCready, insieme a Cameron il grande protagonista del disco. Emozione, tanta, c'è nel pathos continuo della conclusiva "Setting Sun", con quelle quattro parole che concludono il disco "Let us non fade..." che mettono i brividi, soprattutto se cantate dalla meravigliosa voce di Eddie Vedder.

C'è poi il rock, dritto, elettrizzante e potente come nella contagiosa "Scared of fear", la misteriosa "React/Respond", la cui costruzione rimanda molto ai Soundgarden, "Running", quasi al limite col punk ma con un inciso innodico, "Dark Matter", il singolo che ha riportato la band in vetta alle classifiche dei singoli rock negli Stati Uniti,  e "Upper Hand", uno dei momenti più alti dei Pearl Jam da almeno 20 anni, un incrocio Pink Floyd ed U2 inatteso, ma quantomai gradito. Non mancano episodi a presa più facile, come la bella "Won't Tell" o "Something Special", forse il brano più pop del disco e quello meno convincente, anche se il testo dedicato alle figlie scritto da Vedder vi farà commuovere. 

La band per produrre "Dark Matter" si è affidata al produttore del momento, Andrew Watt, che ha fatto un egregio lavoro con i Rolling Stones e con Iggy Pop (per dirne due) e nell'ambito del rock si è specializzato nel far suonare gli artisti "come vorrebbero i fan". In questo contesto è emblematico il lavoro fatto su "Hackney Diamonds" degli Stones (qui la recensione). In un'intervista rilasciata alla stampa, Stone Gossard, chitarrista ritmico della band, ha sottolineato che Watt in fase di scrittura dei brani insisteva perchè "i Pearl Jam non avessero paura a fare i Pearl Jam". Sembra un'ovvietà ma per i fan del gruppo - ed io sono uno di quelli dal lontano 1992 - questo disco suona esattamente come un ritorno a quella forma di canzone emozionante, passionale ed "epica" (mi si conceda un termine che può suonare troppo altisonante, ma ci siamo capiti)  che non si ascoltava da Yield in maniera così totalizzante, fermo restando che in tutti i dischi i Pearl Jam hanno lasciato delle perle lucenti. Ecco, Watt ha rimesso questi cinque musicisti tutti insieme in una stanza e gli ha chiesto di fare i Pearl Jam. Dal canto suo, ha solamente svecchiato il suono che qui risulta compatto e molto compresso (a tratti, anche troppo), a formare un blocco unico in cui anche le chitarre sembrano indistinguibili l'una dall'altra, tranne quando McCready inserisce il turbo per uno dei tanti assoli del disco.

Insomma, Dark Matter è un gran bel disco, uno di quelli che ti trovi indeciso su quale canzone ascoltare perchè c'è troppo tra cui scegliere. Di questi tempi, tanta roba. 

Highlights: tutte. 

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