La prova di questa profondità è subito tangibile nella doppietta iniziale di Wheatervanes, con la ballata inquieta "Death Wish" che sulla apparente monotonia di quattro accordi ripetuti all'infinito costruisce un pathos oppressivo. Quella che parte come una nenia su arpeggio di chitarra si apre ad un suono molto più stratificato, con gli archi a rendere il crescendo più emozionale. L'unico cambio di ritmo e di accordi arriva naturale, ma il lavoro di arrangiamento è molto curato. Se poi l'argomento è la convivenza di un uomo con una donna che pensa al suicidio, capite che non siamo in una zona di confort. Bellissima.
Una tristezza diversa avvolge l'accordo in minore che apre "King of Oklahoma", dannatamente profumata di Tom Petty con i suoi Heartbreakers elettrici. Probabilmente, il buon Tom aveva una vena elettrica più spiccata, ma Isbell è insuperabile nella scrittura, raccontando di depressione e amori finiti:
"E se ne andò con una tasca piena di pillole
Ora la mia schiena fa ancora male e sono troppo debole per lavorare
E non riesco a tenere il passo con tutte le bollette
Mi svegliava ogni mattina con il caffè
E sentivo le sue scarpe da casa fatte in casa scivolare sul pavimento
Mi faceva sentire il re dell'Oklahoma"
A venire in soccorso del nostro umore che, dopo sole due canzoni, si è già fatto cupo, arriva la bucolica "Strawberry Woman" e la sudista "Middle of the morning", due brani in cui l'atmosfera è più rilassata, con il secondo in particolare che modula un bel ritornello di pianoforte e chitarra, incluso anche un assolo non banale (e con un suono bellissimo).
L'incrocio di chitarre in apertura di "Save the world" lascia presagire un brano che, effettivamente, è uno degli apici del disco. Nonostante un tempo non troppo veloce, la canzone è comunque tesa ad esplodere in un ritornello anthemico, una formula che Isbell ed i suoi 400 Unit avevano già perfezionato in Reunions, disco precedente (qui la nostra recensione) con il quale Weathervanes marca una forte continuità.
Il violino di Amanda Shires, moglie di Isbell, introduce un altro numero bucolico, "If you insist", le cui atmosfere costruite da un arrangiamento curato donano 3 minuti di sollievo in attesa che arrivi la commuovente "Cast Iron Skillet", storia ordinaria nell'America odierna di un padre ucciso dai poliziotti. E a Jason bastano una chitarra acustica, un violino ed una fisarmonica. Siamo dalle parti di Southeastern, e ho detto tutto..
La chitarra distorta di "When we were close" introduce un altro pezzo alla Tom Petty, anche se assomiglia dannatamente a certi episodi del disco omonimo di Ryan Adams. E' rock americano ragazzi, puro rock americano. E i 400 Unit sono una macchina da guerra.
Resta ancora da menzionare la ballata "Vestavia Hills" che i 400 Unit trasformano da buona canzone in un'altra perla, il rock alla Counting Crows di "This ain't it", con un tripudio di chitarre elettriche, assoli ed organo da ricordare fortemente la band di Adam Duritz, con un duello finale di chitarre che è sublime.
Si chiude con un'altra perla, "Miles", dove sin dal primo minuto attendi che sbuchi Neil Young da qualche parte. In effetti, l'influenza dell'eroe canadese è anche troppo smaccata, ma non può essere un punto a sfavore. Da rimarcare, in tutto il disco ma soprattutto in questa canzone, un suono stupendo, nitido, diretto. E dire che Isbell ha fatto tutto in casa, stavolta senza il fido Dave Cobb. Qui il solo di slide di Vaden (gran chitarrista, non smetterò mai di scriverlo) ricorda molto il tocco di Harrison.
Avevo scritto diverse conclusioni per questa recensione. Ero partito dalla naturale crescita ed evoluzione della band, che già partiva dal bel Reunions. Avevo anche scritto che i 400 Unit sono probabilmente l'unica band ad aver preso il testimone dagli Heartbreakers. Mi ero anche prefissato di parlare della grandezza dei testi di Isbell. Dimenticate tutto. Weathervanes è un'opera d'arte, è il miglior disco di Isbell nella versione elettrica ed è, per ora, il miglior disco dell'anno. E potrei dire anche di più.
Highlights: tutte.
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