Recensione/ Ryan Adams - Romeo and Juliet

Finalmente tornato a calcare i palchi grazie ad una serie di concerti solo chitarra e voce organizzati nella costa Est, la carriera di Ryan Adams sembra aver intrapreso la rotta del ritorno alla normalità dopo le vicende legate a presunte violenze psicologiche nei confronti della ex moglie e di altre donne, tutto immediatamente archiviato dalla giustizia americana. 

Tornato sobrio da ormai un anno, in questo stesso periodo il turbolento Adams ha pubblicato il convincente Big Colours (qui la recensione) e l'ipertrofico Chris, 19 tracce di b-sides e scarti da altri dischi, a confermare l'inesauribile vena del ragazzo di Jacksonville. Senza alcun annuncio, arriva ora ed all'inizio in download gratuito per circa 3 settimane il nuovo Romeo and Juliet. Ovviamente, trattasi di un doppio album, a confermare che il buon Ryan proprio non riesce a contenersi. 

Il mood degli ultimi dischi di Adams, a partire dall'omonimo del 2014, risente fortemente di due grandi fonti di ispirazione: i The Smiths con le loro languide ballate e Bruce Springsteen, soprattutto in relazione al lato più intimo del grande rocker del New Jersey, il tutto condensato in canzoni che difficilmente superano i 4 minuti di lunghezza e non contengono certamente eclatanti colpi di scena. Romeo and Juliet parte da queste premesse ma, per la prima volta, sembra voler proporre un Adams diverso, meno "schiavo" del ritornello a tutti i costi ed, a tratti, più ostico.

Il disco parte con una sequenza di canzoni che non si discostano dal cliché e da quelle melodie per le quali alcuni di noi hanno sviluppato dipendenza.  In "In the blue of the night" (titolo che farebbe pensare a quel Adams con la "B" in più nel nome) la strofa con il suo falsetto rimanda a Neil Young, ma poi il chorus con il suo cambio di tempo (bella idea) e di accordi cresce e si stampa in testa in pochi secondi. Più classica ma pur sempre godibile "Rollercoaster", dove sì gli echi di Springsteen sono ben presenti. Altrettanto classica e probabilmente alla fine anche noiosa è "I can't remember", con un giro di chitarra acustica buono e nulla più e l'impressione (siamo alla terza traccia) che Ryan si stia incartando in sé stesso. Invece con la successiva "Somethings Missing" qualcosa inizia a cambiare. La batteria ha un suono sostenuto e quasi tribale , quasi a contendere la scena alla voce ed il brano esce dal classico mood che conosciamo ormai a memoria...cosa succede?

Succede che Adams ha evidentemente bisogno di respirare nuova aria. Solo così infatti si possono spiegare gli oltre 6 minuti di "In the meadow", che diventa di fatto il brano più lungo della sua sterminata discografia e che convince nel suo saliscendi, anche se l'incontro tra musica e testo è drammatico: "Nel prato dove giacevamo/le nuvole si muovono sul mio viso/e il sole diventa arancione/dall'arancione a grigio/come una scheggia nel sole della terra/quello che era un fuoco sta ardendo solo in parte/ancora qui, ma quasi scomparso/Oh, mi sento così tradito/ho tanta paura".  Un pugno ben assestato nello stomaco.

Dunque dov'è quell'estate citata dall'autore nelle dichiarazioni che hanno accompagnato l'uscita del disco? ("Ho registrato il mio primo disco estivo"). Diciamo così, l'estate fa capolino il molte stagioni, ma è un'estate piovosa ("Rain in La"), un rifugio per perderti -"Vinceremo un giorno/e tutti pagheranno" tratta da "Losers", questa sì dannatamente Smiths. 

Insomma, per la prima volta dopo oltre vent'anni di frequentazione con il lavoro di questo controverso ma geniale artista, questo è il primo disco in cui Adams mette da parte certi facili ganci e ci invita ad entrare con riluttanza. Ovviamente, lui trova in ogni brano il modo per sviluppare i suoi passaggi che abbiamo ormai mandato a memoria, ma sono frammenti, il resto sono canzoni che parlano di un uomo in chiaro debito con il destino e con l'amore. Se Big Colours dunque è stato il punto più alto di una spensieratezza che non pensavamo albergasse in quest'anima tormentata, qui affondiamo inesorabili in cerca di un'ancora di salvezza che, probabilmente, è affondata in alto mare.  

Vediamo se è l'inizio di una nuova strada o l'ennesimo motivo per Adams di evitare lo psicanalista e gettare su di noi la sua coscienza. Cosa che, in ogni caso, accettiamo di buon grado, perché - siamo sinceri - in quanto a masochismo anche noi non siamo da meno.


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