Alcuni di noi frequentavano il corso musicale
propedeutico all’entrata nella Banda Musicale della città. In effetti aveva
poco a che fare con il rock ma sembrava l’unico modo per poter prendere lezioni
di solfeggio ed armonia senza per forza doversi andare a svenare. Ovviamente,
l’unico strumento replicabile era la batteria, pertanto il nostro drummer stava
giovando e non poco dell’approfondimento musicale, mentre gli altri si dovevano
barcamenare tra clarinetto, tromba e sassofono cercando di intuire quale
insegnamento riportare su basso, chitarra e pianoforte. Io e l’altro
tastierista invece alla sola idea della Banda Musicale ci facemmo cogliere
dall’orticaria, decidendo che forse andare a lezione di strumento ci sarebbe
costato di più ma avremmo avuto risultati migliori (e soprattutto ci saremmo
divertiti). In fondo, era solo una questione di scelte: rinunciare alla pizza
del sabato sera per comprarsi un disco. L’ho fatto per tutto il periodo delle
Superiori e per i primi anni di Università, quasi come una ossessione, la
necessità e la voglia di rintracciare in un nuovo disco quella canzone che
potesse rendermi la vita diversa, quel riff da voler suonare ad ogni costo,
quell’assolo sul quale passare incurvato intere serate solo per replicarlo in
maniera uguale. Erano scelte, appunto, che non mi/ci costavano più di tanto,
perché dettate dalla grande passione.
Avrete capito comunque che 4/6 della band era implicata
nelle maglie della Banda Musicale. Ora, detta con sincerità, i personaggi
“storici” di quella Banda cittadina non erano né altruisti né talent scout e
l’offerta che sembrava una apertura di credito nei confronti di un gruppo di
ragazzi alle prime armi non era poi così magnanima. Avrò modo più avanti di
spiegarmi.
In ogni caso, la proposta pareva allettante. La Banda
Musicale stava allestendo una piccola Festa di Carnevale nella propria sede da
realizzarsi di pomeriggio, al termine delle lezioni singole di musica. Ci
sembrava il massimo in quel momento, perché le facce erano conosciute, si
giocava un po’ in casa (almeno i nostri 4 amici) e l’orario pomeridiano pur se
infrasettimanale ci avrebbe permesso di smontare la strumentazione e tornare a
casa in un orario decente. Accettammo l’ingaggio con una semplicità che ancora
oggi mi fa pensare a quanto fossimo ingenui. Quei musicisti classici (che sotto
sotto ci deridevano) in realtà stavano cercando di capire se fossimo dei nuovi
geni locali della musica, oppure solo dei poveracci che, a pochi mesi dall’aver
fondato una band ed esserci quasi improvvisati per rinsaldare una amicizia e
non lasciare nessuno fuori, si credevano di essere già pronti per una
esibizione.
A dire il vero non fummo nemmeno furbi, ma la
motivazione risiedeva nella mancanza totale di esperienza nella preparazione ad
una esibizione dal vivo. Eravamo convinti infatti che quel suono e quelle
canzoni che sentivamo uscire dalla Casetta fossero non solo musica, ma anche
allietante abbastanza per un pubblico. Non ci ponemmo insomma il problema di
quale fosse il nostro livello e continuavamo a pensare che così come una
canzone suonata con la chitarra in spiaggia bastava a far felici le persone, a
maggior ragione 6 strumenti all’unisono avrebbero creato un trionfo.
Inoltre, non avevamo una strumentazione ben che meno
adeguata. Il grande problema era che con una sola cassa acustica mandavamo
avanti voce e due tastiere e si creava un casino (non saprei altrimenti come
definirlo) che distorceva qualsiasi frequenza. Il problema maggiore era il mio,
cantante e chitarrista, che riuscivo solo ad intuire la mia voce. Era lo scotto
delle prime esperienze ed anche, lo dico chiaramente, la mancanza di fondi
adeguati. Basti pensare che per utilizzare quella cassa avevamo fatto un contratto
di noleggio con il locale negozio di strumenti musicali, per il quale pagavamo
forse 30.000 lire al mese…che tra l’altro facevamo anche fatica a tirare su con
una certa regolarità (in sei…). Ciò non vuol dire che fossimo spiantati , ma
semplicemente che non avendo alcuna entrata facevamo fatica a chiedere sempre i
soldi a casa per questa “idea” che già dall’inizio ci aveva fatto spendere
cifre importanti.
Insomma, oltre al problema musicale vi era anche un
problema strumentale. Altro errore (banale e di inesperienza) fu quello di
pensare che per una esibizione non fosse necessaria alcuna scaletta; quindi,
terribilmente, avevamo concordato che una volta pronti per iniziare a suonare
avremmo deciso sul momento cosa fare. La verità forse stava nel fatto che nella
nostra intimità nessuno di noi era convinto che avremmo fatto una figura
decente ma era altrettanto vero che nessuno di noi si era mai precedentemente
esibito dal vivo con qualche altro gruppo, per cui era tutto devoluto
all’intuizione.
Quel fatidico pomeriggio, quando arrivammo in questo
salone nemmeno troppo grande trovammo dei tavoli imbanditi con i dolci di
Carnevale posti tutti addosso al muro ed un enorme spazio vuoto in mezzo: il
nostro primo palco. Tutti ci guardavano mentre montavamo in pieno stato di
agitazione la strumentazione. Nella cassa della voce facemmo passare anche le
due tastiere, il resto erano piccoli amplificatori per basso e chitarre.
Ricordo che imbracciaiiii la chitarra e provai il microfono: mi sembrava ad un
volume decente e reputai che si poteva iniziare…senza soundcheck, senza niente
prima….anche perché: cosa era un soundcheck? Chi ce lo aveva insegnato?
L’unico ricordo preciso fu che suonammo “La canzone del
sole” in un clima straniante, con le facce divertite ed allo stesso tempo
imbarazzate dei “musici” e dei/delle loro fidanzate/amiche/mogli/compagne. Il
cantante si accorge della faccia delle persone, ha un feedback immediato ed il
mio feedback era “Scappiamo!!”. Forse provammo a suonare altri due brani,
nemmeno ricordo quali, ma fu un disastro. Ad un certo punto mi volli fermare
perché era chiara la sensazione che avevamo sbagliato tutto: avevamo
sottovalutato il suonare live per la prima volta, pensavamo che le nostre
interpretazioni fossero le più belle del mondo e soprattutto non avevamo una
strumentazione decente. Dulcis in fundo: fondamentalmente dovevamo iniziare a
fare le prove in maniera intensiva e a studiare i nostri strumenti con maggiore
approfondimento.
Ma fu una grande delusione, soprattutto l’onta dei saccenti
“musici” che nel restante tempo ci dicevano cosa secondo loro non andava
(tutto, in sintesi). Tornai a casa con la coda tra le gambe: la montagna da
scalare mi sembrava infinita e non sapevo dove avremmo cominciato. Ma
soprattutto, mi assalì la paura che gli altri si fossero demotivati. Il giorno
dopo, sarebbero esistiti ancora i Blue Light?
(…continua…)
Quando c'è un nuovo capitolo della saga "volevamo essere gli U2"...la giornata comincia molto ma molto meglio :D
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