In questi anni ho lungamente scritto in queste pagine dei grandi album che hanno marchiato a fuoco il rock americano. Attenzione, per rock americano qui si intende quello composto da band di 5/6 elementi, con almeno due chitarre e le tastiere.
Per molto tempo dunque avete letto di Amorica Black Crowes, di August and everything after dei Counting Crows o di Bringing down the horse degli Wallflowers. Per fortuna però il mondo non si è fermato, questo tipo di rock ha continuato ad andare avanti ed a sfornare dei dischi che possono diventare dei nuovi classici da affiancare alle opere appena citate. L'orizzonte temporale prende in considerazione gli ultimi 10 anni, quindi dal 2014 in poi.
Ecco quelli che, ad oggi, reputo i nuovi classici:
WHISKEY MYERS "WHISKEY MYERS" - 2019. Più lo ascolto, più il disco omonimo dei Whiskey Myers mi sembra un'opera compatta in cui non ci sono cadute di tono. Certo, il rock sudista di chiara ispirazione Lynyrd Skynyrd resta un punto fermo, ma i ragazzi di Palestine, Texas qui si si fanno ispirare anche da Dylan nella ballad "Rolling Stone" per poi infiammare le chitarre in "Gasoline". E cosa dire poi dell'emozionante "Bury my bones" o del rock alla Eagles di "Houston Country Sky"? Autoprodotto dal gruppo, Whiskey Myers è un disco che esalta i canoni del rock americano attraverso un gruppo che sa fare fuoco e fiamme, ma che adesso sa anche abbassare i toni ed essere un po' meno stradaiolo.
JASON ISBELL AND THE 400 UNIT "REUNIONS" - 2020. Ho fatto difficoltà a scegliere tra Reunions e l'ultimo Weathervanes, ma seppur di poco, il disco del 2020 mi pare che abbia dalla sua almeno due/tre brani che si stagliano sopra la media ed una compattezza maggiore, forse figlia del formato più ridotto di 10 canzoni. Inutile dire che la penna di Isbell è sempre magica, ma qui c'è un'urgenza compositiva notevole, rintracciabile nella pura goduria acustica di "Dreamsicle" o nel ritornello innodico di "Be Afraid", così come nell'afflato Smithsiano di "Running with our eyes close". C'è sempre in Isbell una tristezza di fondo che però in questo disco è mitigata da una band che costruisce intorno a queste canzoni un universo sonoro più ampio.
THE DIRTY GUV'NASH "HEARTS ON FIRE" - 2014. Io ho amato i The Dirty Guv'nash dal primo momento per quel loro mescolare rock sudista e melodie, con un occhio agli Stones ed un altro a Springsteen. Ad oggi Hearts on fire mi sembra il disco più a fuoco e meno scontato. Scritto, suonato e registrato nel loro home studio di Knoxville, Tennessee, il disco alterna momenti di rock strappalacrime, come il crescendo di "Someone to love", a puro rock/pop a presa facile, come per il singolo "Morning Light". E poi desta stupore la padronanza con la quale costruiscono con "Lovin" un convincente brano rock/soul.
BRUCE SPRINGSTEEN "LETTER TO YOU" 2020. Il Boss e la sua E-Street Band ci hanno insegnato cos'è il rock americano, ma dopo The Rising (2002) la fiamma sembrava essersi ridotta al lumicino. Invece il buon Bruce si trova con delle canzoni in mano, brani pieni di nostalgia per il tempo andato, con la consapevolezza che ormai le lancette dell'orologio stanno girando inesorabilmente anche per il grande Springsteen; così viene convocata la E-Street Band ed i brani vengono lavorati velocemente, per non perdere l'attimo fuggente del rock. E per fortuna Letter to you non sbaglia un passo, è diretto, è possente e soprattutto è emotivamente importante. Insomma, alla luce degli anni 20, in quel funesto 2020 fatto di pandemia, arrivano brani come "Last man standing", "Ghosts" e "Song for orphans".
BLITZEN TRAPPER "ALL ACROSS THIS LAND" - 2015. E' un peccato che i Blitzen Trapper solo poco tempo fa siamo implosi, lasciando il marchio nelle mani di Eric Earley, ed è un peccato perchè ascolterete pochi dischi così belli e americani come All across this land. E' vero, in questo disco c'è tantissimo Springsteen e altrettando Dylan - ed è un bene, sia chiaro - ma ci sono anche tanti passaggi esaltanti, come la oscura "Love grow cold" o il rock beffardo di "Rock'n'roll was made for you". Ma soprattutto ci sono le canzoni, belle, bellissime come "Cadillac Road" o "Lonesome Angel". Ogni volta che metto su questo disco, mi chiedo come mai i ragazzi di Portland siano rimasti degli emeriti sconosciuti. Tra l'altro, prodotto da Gregg Williams, uno che ha messo mano a dischi di Sheryl Crow e Dandy Warhols.
RYAN ADAMS "RYAN ADAMS" - 2014. Dieci anni fa Ryan Adams se la passava decisamente meglio: non era ancora arrivata la tempesta mediatica seguita alle accuse della moglie (tutto archiviato, ma è un dettaglio) ma soprattutto il lost boy del North Carolina sapeva discernere tra le canzoni da non pubblicare e quelle da inserire nei dischi, non come oggi, affetto da bulimia discografica. Ma soprattutto, dieci anni fa il nostro pubblicava il suo disco omonimo, un disco rock diretto, con suoni forse figli degli anni Ottanta ma decisamente accattivanti. Cosa dire delle chitarre taglienti di "Stay with me" o della dolcezza di "Kim"? Niente, solo tanta nostalgia per un periodo in cui Ryan era decisamente più a fuoco di oggi.
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