The Black Crowes live al Teatro Arcimboldi di Milano

La reunion dei Black Crowes e la conseguente uscita di un nuovo album ha portato la band dei fratelli Robinson prima ad un lungo tour americano e poi a calcare il suolo europeo. Dopo le quattro date inglesi, seguite da Bruxelles, Amsterdam e Parigi, è il turno, il giorno 27 Maggio, dell'unico concerto in terra italiana, ovviamente a Milano, anche se nella location insolita del Teatro Arcimboldi. 

Tanta era la paura di perdermi il concerto, che i biglietti li ho acquistati appena 24 ore dopo l'inizio della prevendita, salvo poi scoprire che - ad una settimana dall'evento - ancora qualche posto era libero, anche se in posizione non proprio di comfort. Ho parlato di biglietti perchè stavolta mi accompagna mio figlio di 10 anni, ovviamente al suo debutto in concerti di grande richiamo ed importanza. Per evitargli una trasferta troppo pesante, prenoto anche una notte in un Air B&B vicino al teatro, scelta che si rivelerà azzeccata soprattutto per evitare di spendere cifre inutili per taxi o per parcheggio dell'auto. 

All'arrivo a teatro l'atmosfera è già molto americana. Tanti infatti indossano le t-shirt di album e tour passati della band, altri invece optano per stivaloni alla texana; i più audaci indossano cappelli alla cowboy. Quando ho acquistato i biglietti la platea era già piena, per cui ho optato per i primissimi posti nel secondo ordine e, non appena seduti, la visuale si dimostra perfetta, tanto che riusciamo anche a vedere il via vai dietro le quinte. Il setting della band è sicuramente di impatto: la batteria è posta in alto, su una specie di trespolo in cui trovano spazio anche le tastiere. Lo sfondo invece è fatto da un muro di amplificatori vintage e da cartonati di icone rock'n'roll, quali Elvis Presley e Chuck Berry. 

A scaldare l'aria ci sono i Jim Jones All Star, ottimo ensemble di rock adrenalinico e fiati, che rendono se non altro godevole l'attesa dei ragazzi di Atlanta. Dopo pochi secondi col teatro praticamente a luci spente, ecco i Black Crowes che entrano sul palco: oltre ai fratelli Robinson, ci sono Nico Bereciartua alla chitarra, Erik Deutsh alle tastiere, il fido Sven Pipien al basso (membro della band dal 1998) e Cully Simington alla batteria, che ha il compito di non farci rimpiangere il grande Steve Gorman (centrando l'obiettivo alla grande). 

Come da copione, il set si apre con due brani tratti dall'album che da il nome al tour, "Bedside Manners" e "Dirty Cold Sun", e se la prima era già adrenalinica nel disco, la seconda migliora nell'interpretazione live perchè meno scontata e con più anima. Ottima, ma mai ai livelli della successiva "Twice as hard", che dopo le prime note provoca un primo boato nel teatro (ed il secondo ordine trema che è una bellezza). Già dalle prime canzoni si intuisce il mood della serata: Chris con una voce che sembra essersi fermata ai fasti degli anni 90, Rich che giganteggia tra riff e ritmiche imponenti, una sezione ritmica da urlo. Meno a fuoco Bereciartua, che tra le mani si ritrova riff ed assoli di gente come Marc Ford e Luther Dickinson, e fa un po' di difficolta ad uscirne fuori. 

La quarta canzone segna il mio boato personale, perchè la band attacca con "Gone", opener di un disco meraviglioso quale Amorica e mia canzone preferita del gruppo; nonostante l'oggettiva difficoltà del brano, il tiro c'è ed anche la classe, ed io ho le lacrime agli occhi. Dopo un quartetto suonato in maniera troppo scolastica e che si chiude con la cover di "High School Confidential" di Jerry Lee Lewis, ecco che la serata decolla. "Thorn in my pride" infatti si allunga ben oltre i 10 minuti ed è un trionfo assoluto di pathos ed atmosfere sudiste, un saliscendi
continuo di emozioni, una sublimazione collettiva. L'applauso che segue è accorato (altro scossone al balcone del secondo ordine). 

"Wanting and waiting", primo singolo di Happiness Bastards, è perfettamente in sintonia con i grandi classici della band, ma il duo "Hard to handle"+"She talks to angels" è pura magia e riporta tutti agli inizi dei grandi anni 90. Mi giro alla mia destra e la faccia di mio figlio, che nella prima mezz'ora era abbastanza inespressiva, ora ha virato verso l'esaltazione, mentre guarda l'esibizione del gruppo a bocca aperta. Dopo una rovente "Follow the moon", ecco il colpo che ci mette tutti ko: "Sting me" è suonata con un piglio hard rock ed un volume da stadio, "Jealous again" ritorna sui binari del southern rock e poi "Remedy", che fa esplodere di nuovo l'Arcimboldi (domani la balconata del secondo ordine avrà bisogno di un controllino...). Le tende si chiudono per pochi istanti, prima di far rientrare il gruppo per un'inattesa "God's got it" (tratta da Warpaint)

Si chiude così un concerto di certo non lungo (17 brani) ma intenso. I fratelli Robinson sono in forma smagliante ed anche la band sembra essere all'altezza. Certo, non è la formazione dello storico duetto "The southern armony and musical companion" ed "Amorica", ma ci hanno provocato emozioni intense.

Mio figlio, nel tornare nel b&b, è talmente esaltato da fiondarsi  nel merchandising ed io non posso fare a meno di pensare che la musica è un passaggio di consegne. Grazie ragazzi! 

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