Recensione / American Aquarium - The fear of standing still

Seguendo il tag "American Aquarium" presente anche in questa recensione avrete modo di constatare come negli ultimi 6 anni questa sia la quarta recensione di un disco della band di BJ Barham. Questo per dire sia della prolificità dei ragazzi di Raleigh - dovuta in parte anche alla necessità di stare il più possibile in tour, oggi le band non mainstream sono costrette a questo per tirare su un briciolo di stipendio - sia di quanto il buon vecchio rock americano non  arretri nemmeno di un metro, ed è un buon segno. 

Essendo come detto la quarta recensione in 6 anni vado dritto al disco, senza dilungarmi nello scrivere di cose che potete leggere ad esempio in quanto scritto per  Things change o per Lamentations, tanto ormai lo sapete che BJ Barham è sobrio da diverso tempo, sapete che la band spesso è un porto di mare tra arrivi e partenze e soprattutto siete ben consapevoli che gli American Aquarium sono in realtà l'espressione della penna, della voce e delle idee di BJ Barham. 

The fear of standing still è un ritorno importante alle chitarre elettriche ed al rock'n'roll, laddove sia Lamentations sia Chicamacomico indulgevano su mood più malinconici e su ballad languide. Ma la storia dei ragazzi della Carolina del Nord è fatta di rock e di strade impolverate da cavalcare e fa piacere constatare che Barham non ha perso un grammo della sua sfrontatezza. Ma c'è di più, perchè questo disco è un passo avanti anche nell'interpretazione, con Barham che sembra aver smussato alcuni angoli aspri della propria voce, interpretando le canzoni con una vena più pop e più consapevole. 

Ne esce fuori il disco che più mi ha convinto nella corposa discografia della band, perchè l'attenzione alla forma canzone e la bravura dei musicisti nel registrare questi dieci brani esce fuori da una certa vena indie che finora contraddistingueva i lavori di Barham e soci, per rivolgersi ad un pubblico più ampio. In "The getting home" ad esempio sembra di ascoltare gli Wallflowers più ispirati, oppure lo Springsteen più diretto e rock. Il Boss come ispirazione ritorna anche nel pianoforte che introduce "Piece by piece", mentre è puro rock'n'roll quello che bagna "Head down, feet moving", una sbornia collettiva che finisce in un'orgia elettrica. 

A proposito di elettricità, da citare senza esitazione "Crier", uno dei brani migliori ascoltati in questo 2024, una specie di western rock sorretto da basso/batteria che non nasconde una chiara vena punk. Altrettanto notevole il mid-tempo di "Messy as a magnolia", una delle punte più pop/rock che Barham abbia toccato in quasi 20 anni di discografia. 

Probabilmente questa forma smagliante è figlia del lavoro di Shooter Jennings in qualità di produttore, che aveva già firmato Lamentations, un disco che rappresenta un altro apice del gruppo. Andate ad ascoltare The fear of standing still, non ve ne pentirete. 

Highlights: Crier, Messy as a magnolia, The getting home

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