Recensione / The Black Crowes - Happiness Bastards

Partiamo dal principio. Credevo che non sarebbe mai arrivato il momento di recensire un nuovo album dei Black Crowes. Basti pensare che il loro ultimo LP - l'ottimo Before the frost...Until the freeze - è datato 2009 e che, subito dopo l'uscita di quest'ultimo ed a seguito delle continue liti tra i fratelli Robinson, il gruppo si è sciolto, dando l'impressione che una riappacificazione tra i due fratelli fosse impensabile, seguendo le orme dei Gallagher. 

Se invece siamo qui a parlare di un nuovo full lenght della ditta Black Crowes è perché subito dopo la pandemia i fratelli hanno sotterrato l'ascia di guerra, intrapreso un tour mondiale per festeggiare i trent'anni dal debutto di Shake your money maker e dato alle stampe un EP commemorativo dell'anno 1972, con cover del periodo. Dopo tutto questo fermento, Chris e Rich hanno probabilmente trovato naturale unire le forze e far uscire (dopo 15 anni) un disco di inediti. 

Nonostante la storia dei Black Crowes sia dunque indistinguibile dalla famiglia Robinson, la musica della band ha risentito molto negli anni dei cambi di line up. Il periodo d'oro del gruppo, di fatto corrispondente agli album The southern armony and musical companion ed Amorica, vede la presenza di Marc Ford alla chitarra solista e di Eddie Harsh alle tastiere, in un sestetto esplosivo pronto a dare fuoco a qualsiasi composizione di una band in stato grazia. Ormai questi fasti sono terminati da almeno due decenni e la storia ha visto uscire dalla band anche il poderoso Steve Gorman, batterista e motore ritmico dei ragazzi di Atlanta. 

I Black Crowes del 2024 hanno una formazione ben più anonima, che oltre ai fratelli Robinson alla voce ed alla chitarra vede la presenza di Sven Pipien al basso (unico ripescato dalle vecchie formazioni) con l'aggiunta di tali Eric Deutsch alle tastiere, Nico Bereciartua alla chitarra e di Brian Griffin alla batteria, session man nemmeno troppo conosciuti. Il risultato è che questa nuova incarnazione dei ragazzi di Atlanta, pur non suonando apocalittica e sfrontata di quella del periodo d'oro (che è destinato a non tornare più) riesce a darci comunque un bel album, in cui la parola chiave è senza dubbio rock'n'roll. I fratelli Robinson hanno scritto dieci canzoni in cui la fanno da padrone i riff ed una batteria dal ritmo frenetico (tranne nei due momenti più acustici del lotto). Così in brani come "Bedside manners", "Rats and clowns" o "Dirty cold sun" viene da sbattere i piedi e ballare, senza troppi orpelli o intelletualismi, con la consapevolezza che la chitarra di Rich basterebbe a tenere in piedi almeno altri dieci dischi. Così le due ballate "Kindred Friend"  e "Wilted Rose" sono pure gemme della gentile famiglia Robinson, maestri nell'affrontare il solito mix di Allman Brothers e Rolling Stones, come nessun altro in giro negli ultimi trenta anni. 

Per chi è fan dei corvacci però mancherà qualcosa, e quel qualcosa è l'apoteosi musicale che contraddistingueva la band nei dischi già nominati, oppure l'afflato blues di un disco come Warpaint. Questo non si può chiedere a chi ha perso per strada assoluti numeri uno come Gorman, Ford o anche Luther Dickinson, musicisti capaci di lasciarci a bocca aperta ad ogni istante. 

Dunque Happiness Bastards è un episodio comunque buono di una band che sa il fatto suo e che suona rock come poche altre in circolazione. Purtroppo, chi si ricordava e amava i Crowes per le loro jam infuriate probabilmente prenderà questo disco come l'ennesima dimostrazione che il tempo non torna più. 

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