Volevamo essere gli U2 (capitolo ottavo)

(continua)

"Gli altri mi guardano da lontano

Meglio non rispondere quasi più

Smetto di vivere per un giorno

Mi pento e poi ritorno lanciando urla contro il cielo

Un animale in libertà

Sento lo scorrere dei miei giorni

Son lenti ma non torni

Cercherò sino all'alba e poi

Aspetterò che qualcuno mi dica la via, per farti trovare

Perché
anche solo al monto non perderò l'orgoglio"

Questo era il testo centrale, compreso il ritornello, de "L'orgoglio". Quando la presentai alla band a diventare il nostro brano di punta ci mise forse meno di un'ora. I ragazzi mi guardavano da un lato felici, dall'altro increduli che avessi potuto scrivere un pezzo così diretto e, va detto, bello. Io non ho mai capito come nascono le canzoni, a volte sembra che siano sempre vissute dentro te e ad un certo punto escono fuori. Comunque, "L'orgoglio" era lì e noi avevamo una voglia matta di farla sentire il prima possibile.

Ci creammo l'occasione da soli, insistendo per poter suonare alla festa di Carnevale della scuola. Era l'ultimo anno di Liceo e, di fatto, eravamo i "padroni" del mondo, quindi la decisione non fu ostacolata da nessuno, ed anzi venne accolta con felicità da molti amici, che già ci avevano sentito nelle varie feste. Stavolta però avremmo fatto qualcosa di diverso: i nostri brani. A pensarci adesso, era l'impulso dettato dai Novanta, un periodo in cui il rock anche in Italia volava alto e sembrava esserci spazio per le band italiane. In quell'inverno ascoltavamo i Marlene Kuntz ed i Negrita, ma si stavano affacciando anche gli Afterhours con "Germi". Ed erano tutte canzoni nelle quali ci ritrovavamo.

Insomma, tutto questo tripudio di band nel rock italiano fecero sì che i ragazzi fossero abituati ad ascoltare da una band di amici le loro composizioni inedite. A quell'età poi è forte la voglia di gridare i propri pensieri e lo puoi fare soprattutto attorniato dai tuoi coetanei. 

Certo, la mini-scaletta di quell'esibizione non fu facile da comporre, in quanto avevamo appena 15 minuti nel momento clou della festa di Carnevale, in piena assemblea studentesca. C'era "Di fronte a te" oramai pronta da tempo, c'era "L'orgoglio" che non vedevamo l'ora di portare sul palco. Inserimmo in apertura "Vivo", un brano sempre scritto da me ma che poi con il tempo ho rinnegato, perchè troppo pop. Di "Vivo", comunque, parlerò più avanti in questi episodi.

L'assemblea era stracolma di ragazzi e di professori, anche loro curiosi perchè si era sparsa la voce, negli anni, che al Liceo si era formata una band che aveva "qualcosa da dire". Non fu facile, intorno alle 11 della mattina, prendere in braccio la chitarra e mettersi davanti a quel microfono. Qualcuno era seduto in terra ad appena 1 metro da me. "Vivo" passò con entusiasmo, perchè quella sua (apparente) allegria devo riconoscere che la rendeva molto orecchiabile, quasi scanzonata come un brano dei Lemonheads (in quegli anni, Evan Dando andava forte). "Di fronte a te" creò un'atmosfera più attenta, perchè era una ballad più cupa.

Venne il momento de "L'orgoglio". La canzone aveva un intro molto lungo, con tastiere e basso che introducevano in un'atmosfera quasi alla Peter Gabriel. Il basso di C. era meraviglioso, con un giro ossessivo ma canticchiabile. Ora che sei lassù, caro C, avrei da dirti tante cose...

Era quindi il mio turno, ed introducevo il cantato sibilando "L'orgoglio, l'orgoglio che non ho". Ricordo un enorme silenzio mentre la canzone cresceva in pathos, come appunto insegnavano gli U2. Esplosi nel ritornello, con una voce che non sapevo di avere, perfetta in quel momento

Cercherò sino all'alba e poi

Aspetterò che qualcuno mi dica la via, per farti trovare

Perchè anche solo al monto non perderò l'orgoglio

Durò 5 minuti. Allo stop, vidi tutti in piedi ad applaudire. Avevano ragione i ragazzi: "L'orgoglio" aveva qualcosa di unico e, soprattutto colpiva al primo istante. Era ovvio quale orgoglio stessi perdendo da un po' troppo tempo. Mi lanciai un'occhiata con lei (C), che aveva perfettamente capito. E non c'era bisogno di parole. Mentre uscivamo da scuola, mi fermò la mia amata insegnante di Filosofia, dicendomi che era rimasta colpita e che i Blue Light avevano "qualcosa". Maledetto qualcosa, che non si sa mai nominare e non sai cos'è. Ma c'era. 

Il giorno dopo era un cupo mercoledì di febbraio. Entrai a scuola e, mentre salivo le scale per il secondo piano, una ragazza del terzo anno a me quasi sconosciuta, mi guardò e intonò: "L'orgoglio che non ho".

C'era qualcosa. 

(continua)

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