Recensione / The Vegabonds - Sinners and Saints

Sua Maestà Tom Petty una volta disse in un'intervista che il segreto dei suoi Heartbreakers risiedeva nel fatto che tutti i membri della band provenissero da stati del sud, cresciuti a pane e blues e quindi possedevano quel "quid" che li rendeva unici. Allargando lo sguardo, mi verrebbe da dire che questa attitudine comprende anche oggi band quali Black Crowes, Jason Isbell con i suoi formidabili 400 Unit, i Blackberry Smoke ed ancora altre. Includo in questo club i The Vegabonds, che qui su bluespaper - colpevolmente - non vi ho mai presentato. I Vegabonds sono cinque ragazzi provenienti da Nashville e sono in giro da un bel po', se si pensa che Sinners and Saints è il loro quinto album, datato 2021 (ma qui stiamo recuperando dei bei dischi che sono usciti nell'ultimi biennio), ed è un gran bel album. 

La caratteristica dei Vegabonds è di essere molto elettrici nel loro sound, relegando le chitarre acustiche in secondo piano a favore di un sound più diretto, anche in presenza delle ballad. Sinners and Saints si apre con un brano che più sudista non si può, "Juke and Jive", veramente vicino a certe canzoni dei Whiskey Myers, anche grazie ad un banjo che accompagna in sottofondo e rende l'aria torrida. Ottimo inizio. Si prosegue con la melodia di "Ain't giving up", riff diretto a guidare una strofa che si apre con un ritornello in pieno stile rock FM, anche se suoni ed interpretazione sono tutt'altro che pop. Dopo un inizio decisamente brillante è tempo per due episodi che definire rock-soul non è azzardato, con "Can't deal" che convince nel suo incontro tra generi, con un intro soul/blues, un ritornello orecchiabile ed un assolo di organo che ricorda da vicino i Counting Crows. Più blues "Heartache and a memory", ma anche qui si ascoltano evidenti echi dei Counting Crows di "This desert life". 

"Feels right" spacca a metà il disco. Un bel arpeggio dà il via al primo brano intimista del lotto, nel quale il confronto tra chitarra ed organo disegna l'asse portante della canzone. Siamo nel pieno del rock americano, con un brano notturno che richiama atmosfere on the road. Come detto, qui il disco ingrana una nuova marcia, il cui punto di riferimento è Bruce Springsteen, con canzoni elettriche che esplodono in ritornelli impetuosi. Si spiegano così "Wings and prayers" e "Out of my hands", nel tipico intreccio tra chitarre distorte ed organo hammond, anche molto vicino ai The Wallflowers più ispirati e caciaroni. A metà tra rock americano e blues/rock è la torrida "Colorado Evergreen", in cui è chiaro quel quid di cui si parlava all'inizio, in cui la chiave di lettura è quel mojo, tratto tipico di chi maneggia il rock con quell'attitudine unica. I Black Crowes qui sono vicinissimi. 

A produrre questo mini compendio di rock americano il buon Tom Tapley, uno che da ingegnere del suono ha partecipato a dischi quali "You hear Georgia" dei Blackberry Smoke, "High hopes" del Boss e "Modern love" di Matt Nathanson. Insomma, Sinners and Saints è il disco che non può mancare nella discografia di ha ama il rock americano.

Highlights: Juke and Jive, Feels right, Colorado evergreen


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