Recensione/ Samantha Fish - Faster

Di Samantha Fish , nei prossimi anni, ne sentiremo parlare. Si, perché la cantante e chitarrista di Kansas City (Missouri) ha ormai spiccato il volo, uscendo dalla nicchia per entrare tra i nomi più caldi del rock contemporaneo. 

Riavvolgiamo il nastro. Nata in quella Kansas City che negli anni Cinquanta ha rappresentato una delle culle del jazz, una giovanissima Samantha Fish debutta discograficamente ad appena 22 anni in un trio totalmente femminile con Cassie Taylor e Dani Wild all'interno di un album - Girls with guitar ovviamente...- di chiara ispirazione rock-blues. In realtà, in dieci anni di carriera, le coordinate della Fish sono rimaste le stesse, con il graffio tipico del rock che non dimentica le sue origini blues. Si spiegano così dischi come Runaway e Wild Heart la cui urgenza del blues/rock (e della gioventù) fluisce come un fiume in piena. La ragazza però cresce in fretta, e con i seguenti album esplora nuovi mondi, su tutti Belle of the West in cui si addentra nel genere Americana con l'aiuto di classe di Luther Dickinson alla produzione. 

Il 10 Settembre scorso l'artista del Missouri ha pubblicato Faster, iniziando un nuovo capitolo della sua storia musicale. Ad affiancarla nel nuovo album Martin Kierszenbaum, produttore di fama mondiale che negli anni ha supportato i lavori di Sting (per l'album 57h & 9th) e Lady Gaga (per il debutto The Fame): insomma, uno che i dischi li sa produrre e sa scrivere canzoni. L'incontro con un'anima così pop ha forse cambiato l'approccio della nostra Samantha? 

La risposta è un no convinto, ma le ha donato la spinta giusta per rivolgersi ad un pubblico più ampio. Bene intesi: Faster è un disco rock e se qualcosa di blues è rimasto lo si ritrova nell'indole e nel modo di costruire gli assoli. Per il resto, la Fish licenzia una prova muscolare e convinta, in cui a farla da padrone è la ricercatezza dell'essenziale ed il gusto per il ritornello ad effetto, elemento sul quale l'aiuto di Kierszenbaum sembra essere fondamentale. 

Così l'iniziale "Faster" gira intorno ad un riff semplice ma di sicura presa per esplodere in un inciso che si stampa in testa con facilità preoccupante. Chiude il tutto un bell'assolo di chitarra. La festa può iniziare e sullo stesso spartito si porta dietro "Twisted ambition", ancora più sfacciata nel ricercare un ritornello dal vago sapore grunge, "Better be lonely" con una chitarra infuocata sin dal primo secondo, l'hard rock di "So-Called Lover", che per tematica ed intenzione sembra un ispirato brano di Blondie. Sin qui è la Samantha Fish che conosciamo, con una attenzione maggiore ad azzeccare la melodia giusta, senza troppi fronzoli e con un suono volutamente asciutto.

C'è però un'altra parte del disco che apre gli orizzonti dell'artista del Missouri, a partire dal R&B di "All ice no whiskey" che potrebbe calzare a pennello a Joss Stone, per proseguire con una "Hypnotic" che avrebbe ricevuto il plauso di Prince. Inaspettatamente, in "Loud" c'è anche spazio per l'ospitata di Tech N9ne, che nulla aggiunge alla bontà del disco con il suo rap francamente scontato. 

In definitiva, un disco completo e maturo, ottimamente suonato e registrato. La voce di Samantha è definitivamente sbocciata, il suo playing anche, anzi, gli assoli rappresentano uno dei punti di forza dell'album. A star is born. 




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