Bob Dylan - Love and Theft

Nella vasta discografica del menestrello di Duluth, Love and theft ricopre un ruolo importante. Insieme al suo predecessore Time out of mind datato 1997 e giustamente acclamatissimo da pubblico e critica per una vena compositiva ai massimi livelli, Love and Theft prosegue nell'immersione nel profondo della storia della musica americana. 

Accompagnato da una backing band superba, che vede alla batteria David Kemper (che resterà pochissimo alla corte di sua Bobbiness), il fido Tony Garnier al basso, Augie Meyers alle tastiere - già assoldato per il precedente lavoro e la sbalorditiva coppia di chitarristi formata da Larry Campbell e Charlie Sexton. Se è vero che Dylan ha avuto il privilegio da lavorare con alcuni tra i più grandi chitarristi della storia (due su tutti, Robbie Robertson e Mark Knopfler), Campbell e Sexton rappresentano un duo talentuoso ma al contempo al pieno servizio della canzone. Se ne ha una prova già nell'opener "Tweetle Dee & Tweetle Dum", un ritmo tribale sul quale si adagiano basso ed organo, mentre le chitarre entrano ed escono dalle casse con stilettate country. Due-accordi-due, eppure il brano è un'esplosione continua e la band fa i fuochi di artificio mentre Dylan sornione sembra addormentare il cantato. 

La successiva "Mississippi" è uno dei miei brani preferiti dell'intero repertorio Dylaniano. Uno sghembo arpeggio di chitarra conduce il brano, il cui crescendo di accordi in realtà rimanda alla costruzione melodica di "Like a rolling stone". La band ha delle dinamiche paurose mentre su una melodia cristallina Bob racconta la storia sudista di un fugace amore di una notte. Stavolta siamo nel rock più puro, con basso e batteria che prepotentemente custodiscono il ritmo. Tanta roba. 

Con "Summer Days" si cambia totalmente ambientazione, con un boogie sfrenato condotto dalle chitarre. Siamo in piena atmosfera anni 50 se non fosse per una certa sfrontatezza che richiama gli episodi più infuocati degli Stones di Exile on Main Street. L'immersione nella musica americana si fa piena nella successiva "Lonesome Day Blues", shuffle e voce da crooner (tutto sarà più chiaro molti anni dopo con i dischi dedicati a Sinatra). Orchestrale e jazzy, "Floater (too much to ask)" resta nel filone del crooner, mentre il folk acustico di "High Water (for Charlie Patton)" è un altro volo altissimo, con il banjo di Campbell a creare atmosfere sudiste. 

Certamente Love and theft ha l'ambizione di un essere un chiaro tributo alla musica del sud, con le sue calde atmosfere, il banjo ed il mandolino che fanno capolino nelle canzoni e le storie narrate dalla penna di Dylan, stavolta avvolte dal mistero delle oscure notti sulle sponde del Mississippi. Ovviamente, Dylan non si lascia solo cullare in atmosfere da rilassati e torridi pomeriggi in Alabama, ed in alcuni punti sembra volersi allontanare dal richiamo pericoloso di questi luoghi, basti ascoltare il rock'n'roll senza fronzoli di  "Honest with me": "Sono arenato nella città che non dorme mai/Alcuni di queste donne mi danno proprio i brividi/Sto facendo del mio meglio per evitare il "South Side"/i ricordi che ho potrebbero soffocare un uomo".

Menzione speciale per la chiusura affidata a "Sugar Baby", con la quale si ritorna alle atmosfere cupe e drammatiche di Time out of mind. Una ballata di quasi 7 minuti, scarna nel suo accompagnamento di chitarra, solo leggermente riverberata per dare una profondità elegiaca. "Il tuo fascino ha spezzato molti cuori/ed il mio è sicuramente uno di questi/Hai un modo di frantumare il mondo in pezzi, amore, guarda cosa hai fatto/Certo come il fatto che siamo vivi è altrettanto sicuro che sei nata. Alza gli occhi, alzali, cerca il tuo Creatore, prima che Gabriele suoni il suo corno". 


Commenti