Stevie Ray Vaughan - Texas Flood

Stevie Ray Vaughan è passato alla storia della chitarra proprio come un tornado texano, fenomeno atmosferico che in poco tempo spazza via tutto ciò che trova lungo la sua strada. Questo è stato infatti l'impatto che il chitarrista di Austin (Texas, ovviamente) ebbe sin dall'uscita del suo primo album, quel Texas Flood che rappresentò la rinascita del rock/blues più legato alla tradizione dopo un periodo di eclissi negli anni Settanta dovuto alla fama di gruppi che - pur partendo da una solida radice blues - di fatto avevano virato verso suoni più pesanti. Se è vero infatti che Led Zeppelin e Black Sabbath applicavano strutture e scale tipiche del blues, la loro formula era più pesante, scegliendo di fatto di creare un nuovo filone, quello dell'hard rock ed anche dell'heavy. 

Nei primi anni Ottanta la scena blues era asfittica. Eric Clapton si trovava nel tunnel della droga e l'ultimo disco degno della sua fama era rimasto Just One Night, pur sempre un live. BB King, pur continuando a suonare concerti e sfornare dischi, si trovava nel punto più basso della carriera, quasi dimenticato dallo star system, nonostante a riaccendere i riflettori sul genere avesse contribuito in maniera energica il film The Blues Brothers, uscito proprio ad inizio decennio ed utile a ricordare alle nuove generazioni che tutto ebbe inizio da lì. 

Il mito di Stevie Ray Vaughan circola ancora prima del debutto discografico, grazie alla sua maestrìa con lo strumento, tanto da essere chiamato in studio da David Bowie (siamo nel 1982) per registrare le parti di chitarra nell'album Let's Dance, il cui omonimo singolo venderà vagonate di copie. Nei piani di Bowie, Stevie Ray doveva diventare il suo chitarrista turnista, un'idea che però dovette subito accantonare in quanto il buon Vaughan ebbe subito a odiare gli studi di registrazione patinati ed il pop da classifica, tanto da lasciare Bowie ed il produttore Nile Rogers (una istituzione nel mondo del pop/rock) con le pive nel sacco, tornando in Texas non appena concluso il tedioso lavoro di turnista.

Ad attenderlo negli States in effetti erano programmati tre giorni di registrazione ai DownTown Studios di Los Angeles, pagati nientepopòdimenoche da Jackson Browne, uno dei tanti rimasti folgorati dall'esibizione di Stevie Ray Vaughan al Jazz Festival di Montreaux, accompagnato dai fidi Tommy Shannon al basso e Chris Layton alla batteria, presto ribattezzati Double Trouble. 

Dal 22 al 24 Novembre del 1982, Stevie Ray Vaughan & the Double Trouble registrano Texas Flood, sotto l'ala protettrice di John H. Hammond, produttore di lungo corso con il fiuto per i grandi talenti. Il disco vedrà la luce il 13 Giugno del 1983 e sarà la consacrazione di un chitarrista il cui talento puro e cristallino verrà riconosciuto da critica e pubblico sin dalla primissima canzone di apertura, l'infuocata "Love Struck Baby", che in poco più di due minuti raccoglie la summa del Vaughan pensiero: velocità, calore, suono pazzesco e niente sovraincisioni. Si capisce sin da subito che il ragazzo di Austin, giunto al successo alla soglia dei 30 anni, entrerà nell'Olimpo di eroi della sei corde, e lo farà subito con il secondo pezzo, la bellissima "Pride and joy", a tutt'oggi il brano più conosciuto di SRV che fa conoscere al mondo il suo caratteristico andamento circolare nel suonare la chitarra. In pratica, Stevie con il braccio destro poggiato sopra le corde disegna un cerchio continuo, senza dare soluzione di continuità, mentre con il braccio sinistro decide se suonare o stoppare le note. Il tutto suonato con enorme vigore, sua caratteristica peculiare. In "Pride and joy" il mondo si stupisce nell'ascoltare il talento del texano, che qui vira anche verso un approccio ultra melodico per poi scatenarsi in una serie di assoli al fulmicotone. 

In "Texas Flood", che da il titolo all'intero album, pesca nel vasto repertorio blues per scegliere un mid-tempo che parte subito convincente per poi esplodere in un assolo finale che è pura goduria. E se "Tell me" riprende in pieno lo schema e la tecnica di "Pride and Joy", altro esempio scintillante di maestria ed impeto è "Rude Mood", che mantiene le promesse del titolo: una chitarra secca, suonata a velocità impossibile ed in assolo per quasi 5 minuti, accompagnata dal walking bass di Tommy Shannon e dal rullante country di Chris Layton, un batterista che grazie a questo disco lascerà un marchio indelebile nel rock/blues. 

L'omaggio a Buddy Guy è servito con "Mary had a little lamb" e, come accadde per Jimi Hendrix con la Dylaniana "All along the watchtower", Stevie contribuisce a rendere immortale il brano. La track 8 vede il trio cimentarsi in un blues lento in tonalità minore, uno degli scogli tecnici del genere. SRV se ne esce con un brano sincero ed accorato, forse il più vicino alla tradizione per interpretazione e per suono, stavolta meno distorto. E se "I'm cryin'" è la copia carbone di "Pride and joy", con la conclusiva "Lenny" si tocca il cielo con un dito. Introdotta da un lavoro di fino con la leva della fida Stratocaster, "Lenny" è la "Little Wing" di Stevie, commuovente e spirituale, dedicata alla moglie, con tratti di dolcezza infinita. Il lavoro sulla chitarra è strabiliante, mai una caduta di tono nonostante sia di fatto un uomo, la sua chitarra e nulla più. 

Registrato con un'attrezzatura mininale, la fida Fender Stratocaster, un amplificatore ed un overdrive, Texas Flood è una pietra miliare della chitarra elettrica, un album in cui il mondo ha scoperto un talento che purtroppo ha lasciato questa terra troppo presto. 


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