Volevamo essere gli U2 (capitolo 5)

I Blue Light in realtà continuarono ad esistere. D'altronde, quattro di noi (su sei in tutto, quindi 2/3) frequentavano la stessa classe del liceo, il rapporto era quotidiano e suonare era veramente un collante troppo potente per passare le nostre giornate. 

Solo che il nostro primo concerto era stato un disastro. Avevamo capito, facendo una pessima figura, che dovevamo prepararci di più. Venne quindi il periodo delle prove fatte con il massimo rigore, tutti i sabati pomeriggio, anche sotto la neve, perchè il nostro "rifugio" aveva anche un caminetto che funzionava divinamente. 

Poco a poco, ma costantemente, stavamo crescendo. Anche ognuno di noi, singolarmente, stava affinando i propri gusti musicali. Io avevo iniziato a prendere lezioni di chitarra, inoltre cantavo e mi feci travolgere dai Pearl Jam e dalla loro profondità, iniziando ad esplorare il mondo del grunge che era praticamente scoppiato già qualche anno prima. D, il batterista, seguendo gli influssi paterni (un ottimo tastierista negli anni 70) aveva preso ad ascoltare rock/blues d'annata, oltre a diventare un fan di Hendrix. C, il bassista, era il più aperto a qualsiasi contaminazione, variando da Dylan a Elio e le storie tese. I due tastieristi avevano in comune un background molto blues/jazz, M - l'altro chitarrista - era ugualmente un appassionato di musica jazz. 

Tutte queste influenze confluirono in un pastiche tutto nostro, con un repertorio che pian piano, ma inesorabilmente, stava crescendo. Ricordo nitidamente il Maggio di quel 1996, la sera dopo cena rinchiuso nell'automobile di mio padre, ad ascoltare avidamente due dischi, rigorosamente in musicassetta: Ten dei Pearl Jam e Buon compleanno Elvis di Ligabue. Iniziammo infatti a farci l'idea che la nostra musica dovesse essere decisamente rock, tralasciando alcune influenze che comunque avevamo. Lasciammo dunque i Pink Floyd e i Dire Straits e ci gettammo su quel rock molto più di "pancia", non accantonando brani che ci entusiasmavano come "Overdose (d'amore)" di Zucchero o la stessa "Diavolo in me", tutte e due prese da quel gran disco che fu Oro, incenso e birra. 

Certo, la buona stagione  e le vacanze ci diedero una mano, permettendoci di suonare spessissimo nella casetta, senza dover badare troppo agli eventi atmosferici. Ad un certo punto qualcuno propose "Con il nastro rosa" di Battisti e ci gettammo a capofitto per suonarne una versione che fosse nostra, più dura, più rock. Pur non essendo mai stato un cantante, quella canzone era nelle mie corde e ne venne fuori una interpretazione convincente. Ci guardammo negli occhi: iniziavamo ad essere una vera band. 

In quegli anni di Liceo ero perdutamente innamorato di una mia compagna di classe. Era un amore puro, non corrisposto e per questo ancora più idealizzato. Erano gli anni del Liceo Classico, della scoperta dei grandi poeti e, allo stesso momento, dei grandi musicisti e delle loro liriche. Ero innamorato di C, e fondamentalmente soffrivo per non essere ricambiato. Allo stesso modo, in pieno spleen esistenziale, mi crogiolavo in quella condizione, perché sembrava che mi desse le antenne giuste per captare ancora meglio l'emozione della musica. 

Già da qualche tempo scrivevo dei brani inediti, semplicemente chitarra e voce. La gioventù porta con sè grandi fortune, una di queste è la facilità di trovare le parole giuste per ogni musica. Anzi, testo e musica uscivano sempre nello stesso momento. Molte cose le scartavo subito, ma un brano iniziava a girarmi insistentemente nella testa. Era una ballad fondamentalmente, ma con moltissime chitarre e con la porta aperta a far entrare le tastiere. Si intitolava "Di fronte a te". Quel te, chiaramente, era lei. L'incipit d'altronde, non lasciava scampo:

Sotto il sole e sotto gli altri

E poi, quando tu mi guardi

Noi potremmo essere in due. Noi...

E per questo in un istante

Potrà crescere, sarà grande

Questo amore se lo vuoi

Che poi dirlo non è facile

Se potessi adesso te lo direi

Ma hey, sono di fronte a te!

Hey, sono di fronte a te!

Decisi di presentarlo alla band, anche se avevo mille timori e, fondamentalmente, mi vergognavo. Invece ai ragazzi piacque molto e così, per la prima volta, iniziammo a lavorare a qualcosa di nostro.

Nel frattempo la notizia che avevamo una band aveva fatto il giro del Liceo, ed ovviamente non era sfuggita a lei, che in quel Luglio avrebbe compiuto 18 anni. Così, con tutto il mio stupore, mi chiese se avremmo avuto piacere a suonare alla festa dei suoi 18 anni. Era fine Giugno, la banda stava iniziando a spiccare il volo, ero innamorato perso di lei e, fondamentalmente, avevo anche una canzone da dedicarle, scritta appositamente per lei. 

Interrogai il gruppo. Ne venne fuori un sì convinto. Stavolta non potevamo sbagliare. Ed io, stavolta, sentivo già il cuore in gola. 

(continua...)

Per leggere tutte le puntate di "Volevamo essere gli U2" segui attraverso il tag omonimo

  

Commenti