Recensione/ The Dirty Guv'nash - Revival

Mi sono innamorato della musica dei The Dirty Guv'nash circa 8 anni fa. Gli ingredienti della band proveniente da Knoxville, Tennessee d'altronde sono rappresentativi di gran parte delle mie passioni musicali: del sano rock americano, passionale e melodico nonchè, elemento per me non trascurabile, suonato con una formazione ricca di elementi, in questo caso proprio composta da quei 6 musicisti che io considero la quintessenza del rock tradizionale americano. 

Ma la strada del rock, si sa, è piena di ostacoli e nel 2015, al termine del tour a supporto del buon Hearts on fire, i ragazzi hanno comunicato lo scioglimento della band, ufficialmente per tornare ad una vita più "normale" e dedicarsi alle loro rispettive famiglie. Probabilmente nella decisione influì una certa difficoltà a fare il salto nelle classifiche che contano. Insomma, se Hearts on fire avesse mantenuto le promesse, i TDG non avrebbero scelto di concludere l'esperienza, ma va compreso che girare in lungo ed in largo l'America senza ricevere le dovute soddisfazioni è una fatica non indifferente. 

Evidentemente però la vita da bravi padri di famiglia della middle class non li ha attratti più di tanto se oggi ci troviamo a recensione il nuovo disco della band, intitolato Revival e pubblicato il 12 Agosto scorso. Parafrasando un bellissimo film che fa parte della storia del cinema potremmo dire che "Qualcosa è cambiato", perchè la musica di Trimble & C. ha preso un'altra piega. Revival infatti mette da parte (momentaneamente?) la vena elettrica del gruppo, per esplorare il lato più acustico dei Guv'nash, senza dimenticare una spruzzatina di chitarre elettriche ma, soprattutto, accogliendo nel sound della band anche l'introduzione di una sezione fiati. 

Andiamo per ordine. "Don't forget what you came from" segna il ritorno dopo ben 6 anni ed è esattamente a metà strada tra i Dirty Guv'nash che conoscevamo ed il mood del disco, con una melodia azzeccata, tante chitarre acustiche, un organo ed un pianoforte in bella vista. Il primo nome che viene in mente è The Band, ed ancora oggi dopo diversi ascolti l'influenza dello storico ensemble di Helm e Robertson risulta quella più evidente. 

Elegantissima "Good night down in Georgia", molto soul con il corso gospel in sottofondo ed addirittura una vena funk che la band non aveva mai proposto nei dischi precedenti. La parola rock qui è totalmente scomparsa e la band prende quasi la strada per New Orleans, anche se il blues serpeggiante dell'assolo di piano rhodes (che suono bellissimo!) li rende più riconoscibili. Insomma, una versione dei TDG inattesa, ma assolutamente convincente. Ma soprattutto: dove avevano nascosto tutta questa tecnica?

Le chitarre elettriche ed il rock'n'roll tornano subito con "Revival", forse l'unico brano in scaletta che riallaccia il nodo con i dischi precedenti. Meno trascinante ed ancora dannatamente marcato di soul, ma il ritmo alla Rolling Stones c'è tutto, e scatenarsi in una calda notte del Tennessee viene facile. Menzione particolare per la voce sempre calda e trascinante di Trimble, qui forse alla sua prova più convincente. Finale scoppiettante (chi ha detto "Can't you hear me knocking"...)

Ma la festa elettrica dura poco, con "Backbeat Melody" e "Better in the summer" si torna al lato acustico e ce li immaginiamo così come ritratti in copertina, intorno ad un falò a suonare con le chitarre, al termine magari di un barbecue tipicamente americano. Manca, è vero, uno spunto melodico ed anche una certa urgenza nonchè inquietudine che caratterizzavano i precedenti album. In una parola, è rimasto il roll, il rock non è stato invitato in questo Revival.  

E così resta da evidenziare la bella "Joy takes a little while", posta in chiusura di disco, nella quale il livello si fa veramente alto, nonostante una melodia che ricorda dannatamente una canzone di Bruce Springsteen (a voi capire quale). Però si può perdonare ad un brano molto sentito e toccante che mi ha emozionato profondamente, facendomi riconoscere i 6 ragazzi di Knoxville. D'altronde "qualche volta la gioia dura un po' di più". 

Tirando le conclusioni, Revival propone un lato dei The Dirty Guv'nash ancora sconosciuto, nonostante faccia parte del loro repertorio il mood acustico, svelando un percorso artistico che vuole tornare alle radici della musica americana, nonchè tirando fuori gli artigli dal punto di vista tecnico. Certo, sembrano latitare le intuizioni e soprattutto il livello di scrittura sembra presentare qualche lacuna. 

Però non posso che rallegrarmi per il ritorno di una band che tanto apprezzo. E "Joy takes a little while" merita. 


Commenti