Bruce Springsteen - Darkness on the edge of town

Entrare nei meandri del rock americano vuole anche dire risalire piano piano la corrente e ri-scoprire - perchè di nuova scoperta non si può parlare - album la cui importanza è stata fondamentale per la definizione (azzarderei anche, costruzione) di un genere. Tra questi, è impossibile non annoverare Darkness on the edge of town di Bruce Springsteen.

Pubblicato il 2 Giugno del 1978, Darkness on the edge of town è certamente un disco spigoloso, di cui si intravedono sin dal primo ascolto le caratteristiche del capolavoro, ma che ti lascia entrare con parsimonia. Lontano dallo sfavillìo del predecessore Born to run, nonostante non siano passati nemmeno tre anni, in Darkness...ad essere mutato è soprattutto l'indole del Boss, che dopo la speranza e gli accordi maggiori a potenziare la verve di Born to run, inizia il suo percorso doloroso di narrazione della middle class americana, degli operai e di tutto quello strato sociale impossibilitato a godere del sogno americano. Per dirla con un bellissimo verso di "Badlands": "Lavorare nei campi finchè non si brucia la schiena/Lavorare sotto le ruote finchè non si apprendono le cose" ed ancora "I poveri saranno ricchi/ Ed i ricchi diverranno Re/ e un Re non è mai soddisfatto/finchè non governa su tutto". 

Ad introdurci nel disco è proprio l'iniziale "Badlands", in realtà l'unico brano in cui lo stile musicale ha un filo diretto inestricabile con Born to run, con le sue tastiere a fare da asse portante al ritmo incalzante della sezione ritmica, mentre le chitarre contribuiscono a rendere solenne e quasi marziale la cavalcata sonora. Un brano perfetto, non a caso sin da subito uno dei più amati della discografia del Boss, con quel ritornello innodico da stadio, nonostante un testo che - lo abbiamo visto - è tutto tranne che un inno di gioia da scandire insieme. Ecco un altro codice del nuovo rock americano: dietro una musica trascinante, un testo quasi da denuncia, un metodo di scrittura che - ovviamente - farà scuola. 

Già con la seconda track l'aria si fa dannatamente pesante. E' il momento dei chitarroni hard di "Adam raised a cain", brano quasi unico nella discografia Boss. L'Adamo ed il Caino del testo sono ovviamente simbolismi del rapporto padre/figlio, nel quale il figlio eredita contro la sua volontà i peccati del padre. "Sei nato in questa vita pagando/Per i peccati di qualcun altro/Papà ha lavorato tutta la vita per niente altro che dolore/Ora cammina per queste stanze vuote cercando qualcosa su cui buttare la colpa/Tu erediti i peccati, erediti le fiamme/Adamo ha allevato un Caino". E stavolta, in modo totalmente diverso da "Badlands", la musica enfatizza il clima tormentato del testo, con una rabbia sonora che Springsteen non replicherà più: le chitarre sono taglienti, il riff è semplice e quindi ipnotico, i suoni distorti come non mai. Una parte della critica sostiene che "Adam raised a Cain" sia l'unica canzone fuori contesto nel set di Darkness on the edge of town, io invece credo sia essenziale per dare un senso all'intero disco ed al nuovo mood narrativo di Springsteen, tra l'altro introducendo un nuovo volto della E-Street Band, una macchina da guerra che sa destreggiarsi benissimo anche nel rock più duro. 

Si arriva quindi alla terza traccia, forse il brano che preferisco nella storia musicale del Boss: "Something in the night". Con i suoi cinque minuti abbondanti, il brano è un crescendo di pathos che prende il via da un riff circolare di Bittan (pianoforte) su cui si innesta il rullante in crescendo di Weinberg e l'urlo straziante di Springsteen: è già poesia. Quando si uniscono tutti si ha già l'impressione, ancora prima che la voce declami i versi, di quale sia il quadro: notte, un'auto ed uomo alla disperata ricerca di se stesso e di risposte che mai riceverà. 

"Sto correndo verso Kingsley/Immagino che mi prenderò da bere/Alzo il volume della radio/Così non devo pensare/Accelero a tavoletta/In cerca di un solo istante in cui il mondo mi sembri giusto/E mi insinuo nelle budella/ di qualcosa nella notte"  

Se il mondo, lo sappiamo, non è perfetto, alcune canzoni invece lo sono. "Something in the night" lo è nel coniugare il lavoro della E-Street Band con il significato del testo. E quando nel ritornello le ali si spiegano in un coro plurale ("Niente è dimenticato o perdonato/Quando sei alla fine del tuo tempo/Ho troppi pensieri che girano in testa/E non potrò mai uscirne") quasi come una tragedia greca, con difficoltà si riescono a trattenere le lacrime. In tutto il brano la voce di Bruce è strisciante, svogliata, proprio come il mood notturno che fa da sfondo al racconto. Ed adesso alzi la mano chi non ha mai preso un'auto di notte senza avere alcuna meta, solo per guardare in faccia i propri demoni e sfidarli. Definitiva. Struggente. Splendida. Massacrante. 

Ed è intelligente, pertanto, la scelta di inserire in scaletta subito dopo "Candy's room", la quale stempera i toni dal punto di vista musicale, anche se il testo non è di certo una passeggiata di salute, narrando una storia di prostituzione giovanile, torbida e drammatica allo stesso. La sensazione agrodolce della canzone è dovuta alla melodia ariosa della canzone, dettata dal pianoforte, mentre la voce del Boss introduce il brano con uno speaking antesignano dei tempi. "Candy's room" si trasforma immediatamente in un pezzo rock senza fronzoli, con un bel assolo di Springsteen, veloce ed evocativo: diverrà, nella dimensione live, uno dei grandi classici dei concerti.

Track 5: si torna nella notte. "Racing in the street" è la sorella gemella di "Something in the night": stessa tematica - viaggiare di notte cavalcando la propria auto - stessa costruzione in crescendo, anche se qui l'atmosfera è generalmente più soffusa. L'utilizzo del rullante di Weinberg, a battere il tempo a partire dalla seconda strofa, è ormai strofa, così come la melodia di Danny Federici all'organo, che entra nel brano sottolineando i momenti più emotivamente importanti: Dylan è un passo. La lunga chiusura del brano è stata rubata da centinaia di band, si pensi ad esempio al finale di "Tunnel of love" dei Dire Straits."Stanotte l'autostrada è luminosa/ Lontano dalla nostra via/signore faresti bene/perchè l'estate è qui/ed è il tempo migliore per correre sulla strada". 

"Promised land" è meno spiazzante ed a pensarci bene, 43 anni dopo, è anche la cartina tornasole del Boss che verrà, con queste melodie in maggiore, una E-Street Band che suona in maniera molto orchestrale, pochi riff e tanti accordi. Potrebbe essere un brano nella media, ma ci pensa il ritorno di Clemons al sassofono a dare una spinta forte a quello che definiremo uno special, anche se qui è tutto più fluido. Siamo ancora dalle parti di Dylan, se non altro per l'utilizzo dell'armonica e per la tematica: "Signore non sono un ragazzino/sono un uomo/e credo nella Terra Promessa".

Il finale del disco propone un quartetto killer, aperto dalla bellissima melodia di "Factory", brevissima nei suoi due minuti e diciannove secondi, quanto basta per disegnare un bozzetto in cui Bittan e Federici sono i protagonisti assoluti. Dedicata al padre operaio è una canzone di una dolcezza infinita, una nenia. E come tutte le nenie deve durare poco e lasciare un finale sfumato, ad intuire una circolarità infinita. 

"Streets of fire" è l'apoteosi del contrasto vuoto/pieno cui il rock da sempre attinge, e sempre attingerà. Introdotta da un organo quasi liturgico, la voce di Springsteen canta sardonica "Quando la notte è tranquilla/ e non ti importa più di nulla/e i tuoi occhi sono stanchi/e c'è qualcuno alla tua porta/e tu realizzi che vuoi lasciare perdere tutto". Sono cinquanta secondi di quiete, anche si avverte un'elettricità strana nell'aria: un secondo dopo ecco l'attacco veemente della E-Street Band, con un impeto violento, proprio a sottolineare quelle 3 parole "streets of fire", chitarroni ad accordi lunghi ad enfatizzare ancora di più. Piano piano le chitarre prendono il sopravvento, l'assolo è tiratissimo, distorto e rumoroso e sembra provenire da lontano. Molte critiche saranno mosse alle modalità di registrazione del disco, da molti considerato obsoleto già al momento dell'uscita. Eppure a me, quattro decenni dopo, sembra una scelta azzeccata e che rende molto realistico il prodotto.

"Prove it all night" introduce uno Springsteen che vedremo in maniera più focalizzata in The river per quanto concerne gli arrangiamenti. E' una perfetta canzone da stadio, in cui - per una volta - musica e liriche vanno a braccetto, con una rinnovata promessa d'amore di una coppia, un inno alla vita che dal vivo troverà la sua consacrazione. Anche qui assolo infuocato del Boss. 

E si arriva alla fine con la title-track. E' stato scritto tanto su "Darkness on the edge of town", perchè una canzone spartiacque nella discografia di Springsteen. In ogni caso, anche qui il contrasto vuoto/pieno si sublima, anche se è la voce a condurci sulle montagne russe e la E-Street Band continua ed essere utilizzata come un'orchestra rock. Per la rivista Rolling Stone la canzone rientra tra le 10 top songs del Boss ed è anche una delle più richieste e suonate dal vivo. 

Ho già scritto che su queste canzoni molto è stato detto, e non sarò certamente io ad aggiungere concetti innovativi. Resta il fatto, insieme alla grandezza di un disco che ormai è storia, che una fetta importante del rock americano nasce qui a partire dalla scelta degli arrangiamenti, dalle melodie pressochè perfette e da un sapiente utilizzo delle dinamiche, qui da manuale universitario della musica. Ed una serie di canzoni senza mai un inciampo. Il che, come sapete, rende i dischi immortali. 

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