Cent'anni di solitudine. Gabriel Garcìa Marquez


La prima sensazione che ho nel descrivere la bellezza senza tempo di Cent’anni di solitudine è, inevitabilmente, ricordare le notizie su Marquez riportate in questi giorni da tutti i quotidiani del globo, che lo descrivono malato ed impossibilitato a regalarci ancora un altro capolavoro.

La premessa rende queste righe ancora più convinte, perché stiamo parlando di un romanzo irripetibile e che lascia a bocca aperta. Troppo riduttivo descriverlo come una saga familiare, di cui la letteratura è piena sino all’orlo. Cent’anni di solitudine è molto di più. E’ una discesa fantastica nella storia di un luogo di fantasia, Macondo, che viene fondato dal capostipite della famiglia Buendìa. E dal momento della sua fondazione si dipana una storia irreale, costellata di presagi ed avvenimenti drammatici, di colpi di scena e guerre, di morti annunciate e mai giunte (in un altro suo capolavoro, Marquez invece consuma una morte già predetta nelle prime due righe del romanzo).

Non è facile leggere Cent’anni di solitudine. Ci si perde facilmente e risulta addirittura fondamentale munirsi di carta e penna e disegnare un albero genealogico  in cui i nomi si ripetono inesorabilmente, così come le avventure. E’ una riscrittura in chiave sudamericana della storia del mondo, precursore di quel Infinite Jest del compianto Wallace, enormemente più prolisso, al limite della sopportazione umana. Marquez invece ha una penna leggera, che scorre veloce negli anni. All’interno di una pagine il tempo scorre sorvolando avvenimenti importanti come fossero rinchiuse nelle virgole della vita. Ciò che importa è il concetto di destino e ciclicità. I membri della dinastia Buendìa non possono sfuggire alle regole non-scritte della famiglia, quasi che i loro nomi, volutamente un tributo ai propri avi, portassero già dall’inizio della storia il peso di un Fato che ha già deciso tutto. Eppure queste gabbie immaginarie che conducono l’esistenza lasciano libertà di agire, di pensare e di creare.

A distanza di 30 anni dalla sua uscita, il romanzo che ha dato a Marquez uno dei Nobel più giusti ed annunciati della storia è un titolo che lascia sgomenti per la sua completezza e per l’arte della parola, di cui l’autore colombiano rimane, probabilmente, tra i tre massimi esponenti della letteratura del Novecento. 

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