La prima sensazione che ho nel descrivere la bellezza senza
tempo di Cent’anni di solitudine è,
inevitabilmente, ricordare le notizie su Marquez riportate in questi giorni da
tutti i quotidiani del globo, che lo descrivono malato ed impossibilitato a
regalarci ancora un altro capolavoro.
La premessa rende queste righe ancora più convinte, perché stiamo
parlando di un romanzo irripetibile e che lascia a bocca aperta. Troppo riduttivo
descriverlo come una saga familiare, di cui la letteratura è piena sino all’orlo.
Cent’anni di solitudine è molto di
più. E’ una discesa fantastica nella storia di un luogo di fantasia, Macondo,
che viene fondato dal capostipite della famiglia Buendìa. E dal momento della
sua fondazione si dipana una storia irreale, costellata di presagi ed avvenimenti
drammatici, di colpi di scena e guerre, di morti annunciate e mai giunte (in un
altro suo capolavoro, Marquez invece consuma una morte già predetta nelle prime
due righe del romanzo).
Non è facile leggere Cent’anni
di solitudine. Ci si perde facilmente e risulta addirittura fondamentale
munirsi di carta e penna e disegnare un albero genealogico in cui i nomi si ripetono inesorabilmente,
così come le avventure. E’ una riscrittura in chiave sudamericana della storia
del mondo, precursore di quel Infinite
Jest del compianto Wallace, enormemente più prolisso, al limite della
sopportazione umana. Marquez invece ha una penna leggera, che scorre veloce
negli anni. All’interno di una pagine il tempo scorre sorvolando avvenimenti
importanti come fossero rinchiuse nelle virgole della vita. Ciò che importa è
il concetto di destino e ciclicità. I membri della dinastia Buendìa non possono
sfuggire alle regole non-scritte della famiglia, quasi che i loro nomi,
volutamente un tributo ai propri avi, portassero già dall’inizio della storia
il peso di un Fato che ha già deciso tutto. Eppure queste gabbie immaginarie
che conducono l’esistenza lasciano libertà di agire, di pensare e di creare.
A distanza di 30 anni dalla sua uscita, il romanzo che ha
dato a Marquez uno dei Nobel più giusti ed annunciati della storia è un titolo
che lascia sgomenti per la sua completezza e per l’arte della parola, di cui l’autore
colombiano rimane, probabilmente, tra i tre massimi esponenti della letteratura
del Novecento.
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