Counting Crows - Butter Miracle Suite One

Sette anni. Quante cose sono accadute negli ultimi sette anni? Nel 2014, quando i Counting Crows davano alle stampe Somewhere under wonderland, negli Stati Uniti il Presidente in carica era ancora Barack Obama mentre in Italia sullo scranno più alto della Presidenza del Consiglio sedeva Matteo Renzi. Nel 2014 Sebastian Vettel guidava ancora una Red Bull, il selezionatore dell'Italia ai Mondiali in Brasile era Cesare Prandelli, mentre il giocatore più atteso della nazionale azzurra era Mario Balotelli. Sempre nel 2014 Paolo Sorrentino trionfava agli Oscar con "La grande bellezza", ed il mondo doveva ancora assistere all'attacco terroristico contro Charlie Hebdo.  

Adam Duritz ed i suoi Counting Crows, discograficamente parlando, erano fermi a quella data: 2 Settembre 2014, neanche a farlo apposta il giorno di nascita di mio figlio Geremia. Somewhere under wonderland era un bel disco, con appena 9 tracce, un singolo lunghissimo e difficilmente trasmissibile nelle radio ("Palisades Park") ed almeno un paio di canzoni sopra la media, si pensi ad esempio a "Possibility Days". 

Ebbene, ad Adam Duritz sono serviti sette lunghissimi anni per scriverne un seguito, che poi non potrebbe nemmeno definirsi tale, in quanto Butter Miracle Suite One è un EP e contiene a malapena quattro canzoni. Suona strano parlare di Extended Play in un mondo discografico in cui i dischi continuano ad uscire senza soluzione di continuità, quasi ignari del fatto che la musica non la compra ormai quasi più nessuno. Immettere nel mercato un EP nel 2021, proponendolo di fatto solo come vinile, mentre qualsiasi persona può registrare un disco e caricarlo sulle piattaforme streaming vuol dire porsi al di fuori della contesa musicale. I Counting Crows lo hanno fatto: ha un senso? Risponderò più avanti. 

Come hanno trascorso i nostri questo lunghissimo periodo? Tolte le tourneè estive d'ordinanza, sono quasi tutti scomparsi. Jim Bogios ha prestato i suoi tamburi a qualche artista emergente, Jimmy Immergluck si è fatto vedere in giro con il buon vecchio amico James Maddock, toccando spesso i nostri lidi. L'asse portante dei Corvi, composto dai chitarristi Dan Vickrey e David Bryson, dal tastierista Charlie Gillingham e dal bassista Millard Powers, è letteralmente scomparso. E Duritz?

Non è stato difficile rintracciare Duritz. Il buon Adam lo potete trovare nella pagina Instagram ufficiale della band, intento a cucinare qualche pacchiana (e grassissima) ricetta nel suo enorme loft open-space di New York. Si è tagliato i dreadlock, è visibilmente ingrassato e pure invecchiato, oppure siamo noi a fingere di non sapere che quest'anno sono 57 primavere. 

Duritz per circa 6 anni non ha scritto nemmeno una canzone. Lo ha ripetuto candidamente nelle interviste promozionali per il nuovo lavoro. Forse troppo intento a cucinare, o a gestire la sua prima seria storia d'amore, il leader dei Counting Crows ha vissuto al di fuor del jet set, propinandoci di tanto in tanto dei prolissi ed inutili podcast su qualche artista sconosciuto, ma di fatto dando l'impressione che la storia dei Corvi fosse finita. Poi, la scintilla. 

Una fattoria nella campagna inglese, la pandemia, un pianoforte.  Con questo armamentario il buon Adam scrive quattro canzoni e chiama a raccolta i Counting Crows. Quattro canzoni mediocri?

Assolutamente no. Aprano bene le orecchie i fan della band: quelle che fanno parte di Butter Miracle Suite One sono probabilmente le tracce più ispirate del gruppo a far data da This Desert Life. Andiamo con ordine. 

"Tall Grass" è un pezzo prevalentemente acustico che gioca quasi esclusivamente sull'emotività della bellissima voce di Duritz. E' un crescendo lento che solo nel finale trova la sua esplosione, come spesso i Counting Crows ci hanno abituato. La scrittura è altissima, l'emozione che produce anche, soprattutto quando Adam insiste con l'interrogatorio "And I don't know why", che spezza in cuore in due. Come tutte le grandi canzoni, sin da subito si capisce che siamo di fronte ad un nuovo classico. Visto che la suite è stata scritta, pensata e registrata come un unicum senza soluzione di continuità, tutte le canzoni si fondono esattamente con la successiva. 

E' quindi il momento di "Elevator Boots", singolo già on air da qualche settimana.  Qui siamo tornati ai Counting Crows elettro acustici già assaggiati con brani come "Scarecrow", contenuto in Somewhere under wonderland. Come singolo andava benissimo, qui è forse il brano meno eclatante del quartetto, anche se alcune linee del testo ("Ho conosciuto Alice vicino Alamo/Una notte a San Antonio/Mi ricordo di lei/Non mi ricordo di me") riportano al Duritz clamoroso degli esordi. Ma soprattutto, quando tutti e sette mollano gli ormeggi, si rivivono dei deja vu indimendicabili.

Per chi scrive l'apice del disco lo si ha con la successiva "Angel of 14th street", evidentemente ambientata a New York, con atmosfere alla "New Frontier" e soprattutto un ritornello meraviglioso, che vi ritroverete a canticchiare già dopo il secondo ascolto. Ciliegina sulla torta, duello in assolo finale tra Immergluck e Vickrey. Evviva!

Si chiude con il rock di "Bobby and the Rat-King", altra storia di una band on the road e per questo evidentemente elettrica, con stacchi alla The Who ed una "Thunder Road" che gira insistentemente nell'aria, soprattutto nello special. Altro bel pezzo, che conferma la bontà di un ristretto set di canzoni che, se dovesse esserci una Suite Two, si candidano a diventare uno dei lavori più ispirati dei ragazzi di Duritz. 

Pensavo - temevo - che la storia del gruppo volgesse al termine. E' evidente che i Counting Crows dipendono in tutto e per tutto dall'ispirazione del loro cantante e leader, che centellina le uscite, consapevole di dare in pasto ai fan soltanto materiale in linea con l'altissimo livello che i ragazzi californiani (un tempo) garantiscono dal 1993. 

Sperando vivamente che per ascoltare di nuovo questa musica dell'anima non debbano passare altri 7 anni. 

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