Bruce Springsteen - Letter to you

Questa recensione inizia il 10 Settembre dello scorso anno, data di pubblicazione di "Letter to you", primo singolo nonchè title-track del nuovo album di Bruce Springsteen. In quel momento, ascoltando la nuova fatica del Boss, ho masticato amaro. "Letter to you" è una ballad elettro-acustica, un numero sicuramente apprezzabile perchè nasce dalla penna di un uomo che il rock lo mastica come il pane e - soprattutto - ha contribuito anche a cambiarlo. Ma in quel giorno di fine estate ho continuato ad ascoltare un rock scontato, l'ennesima ripetizione di un clichè abusato da troppi anni.

L'ultimo disco di Springsteen che ho amato è stato The Rising. In quel caso, nonostante la produzione troppo patinata di Brendan O'Brien ed una scaletta oggettivamente troppo lunga, il golden boy del New Jersey con la sua E-Street Band donava emozioni, che poi è di certo la cifra stilistica che più lo contraddistingue nel mondo del rock: la semplicità nel parlare diretto al suo pubblico, la facilità di proporre liriche dirette e mai scontate ed il saper creare un wall of sound emotivo che difficilmente si toglie da sotto pelle. Quella volta la motivazione era la necessità di narrare il post 11 Settembre. Questa volta?

Paradossalmente, l'undici Settembre del 2020 - dopo aver ascoltato alcune volte "Letter to you" - mi convinco che anche questa volta non correrò ad accaparrarmi una copia del nuovo album del Boss. Non l'ho fatto nemmeno per dischi quali Magic, Working on a dream oppure Wrecking Ball per restare al lato più rock di Bruce e le motivazioni sono le medesime delle sensazioni provate per il nuovo singolo, il dejà vù ormai scontato, l'utilizzo continuo delle stesse sequenze di accordi ormai venute alla noia. A ben pensarci, in "Letter to you" fa capolino in maniera più decisa la E-Street Band, ma è ancora troppo poco...

Quattordici giorni dopo ascolto su YouTube "Ghosts", secondo estratto dal nuovo album. Immediatamente percepisco una vecchia piacevole sensazione, un'emozione adolescenziale ma gradita ed anzi fortemente ricercata da tempo. "Ghosts" è bella, pulsante, viva, chitarristica, elettrica, trascinante, in una sola parola: rock. Ed è anche di più. Le parole che (intelligentemente) accompagnano il video ufficiale narrano la crescita musicale del Boss dalla sua prima band ad oggi, ricordando i suoi compagni di viaggio ormai scomparsi, un saluto sincero e non banale a chi gli ha permesso di diventare quel fuoriclasse che milioni di fan al mondo adorano incondizionatamente. Non bastasse questo, "Ghosts" è il ritorno imponente della E-Street Band, delle rullate decise di Max Weinberg e del pianoforte elegiaco di Roy Bittan. Tenete a mente questi due co-protagonisti.

"Ghosts" è stata dunque la principale motivazione per tornare ad acquistare un disco di Bruce Springsteen, finalmente con la E-Street Band. Ed è un disco bellissimo, una prova attesa per anni e che forse non mi sarei mai aspettato di avere tra le mani. La leggenda (perchè non so quanto sia realmente possibile) narra che il tutto sia stato arrangiato e registrato in 5 giorni, con Springsteen che ovviamente arriva in studio solo con l'ossatura delle canzoni; radunati intorno i ragazzi (si fa per dire...) della E-Street Band, come facciamo noi poveri musicisti alla periferia del mondo, ha suonato i brani chitarra e voce. E loro - "quei ragazzi" - hanno dovuto apprendere in poco tempo e poi suonare alla "buona la prima" le canzoni, proprio per non perdere la botta istintiva, uno dei segreti migliori del rock. 

Che siano serviti cinque giorni o quindici, di certo l'idea di cogliere la band nel suo selvaggio approccio è perfettamente riuscito, perchè Letter to you suona dannatamente vivo ed anche leggero, nonostante la banda sia comunque ingombrante e le canzoni non siano pop, nè per approccio, tantomeno per argomento. E se l'iniziale "One minute you're here" se ne resta placida e sentimentale; e se "Letter to you" svela meglio le sue carte ascolto dopo ascolto, è con "Burning Train" che la magia ha inizio, una cavalcata ruggente su un treno in piena corsa, guidati dal charleston di Weinberg e dalle chitarre di Nils Lofgren e Steve Van Zandt che da troppo tempo non urlavano in maniera così decisa: è tutto vero o stiamo sognando? 

No, siamo sveglissimi, perchè "Janey needs a shooter" è la miglior canzone del boss da almeno 30 anni a questa parte. Aperta da un organo struggente ed accompagnata dal duo Lofgren/Van Zandt liberi di incrociare gli arpeggi, con "Janey needs a shooter" si inizia a piangere. Si, a piangere, perchè questo è ciò che il rock deve fare, piazzare una chitarra a destra ed una a sinistra, mettere al centro della piazza il pianoforte e soprattutto scaricare quintali di melodia ed emozioni. Quasi sette minuti di assoluta perfezione, assoli di armonica e saliscendi emozionali difficili da superare senza il groppo in gola. Vi diranno che il boss l'ha scritta negli anni Settanta...roba da biografi, a me interessa il brivido continuo ed il pianto difficile da contenere. Sarà che il 2020 è un anno di merda, oppure sarà che il vero rock latita da troppo tempo. Oppure sarà che in pochi parlano alla nostra anima così direttamente. 

Cosa fare dopo "Janey needs a shooter"? Proviamoci. Certo, "Last man standing" è addomesticata rispetto a ciò che il disco ha proposto sinora, ma è una pausa che non fa male, anzi. Se poi il piano di Bittan introduce "The power of prayer" in quel modo, in attesa che la band parta insieme al cantato di Springsteen, allora è veramente il disco che Springsteen doveva regalarci da troppo, troppo tempo. Siamo dalle parti di "Darkness on the edge of town", se non altro per la melodia sontuosa nel chorus, impressione confermata anche da "House of a thousand guitars", anche qui con Bittan sugli scudi in un brano triste e nostalgico, probabilmente il punto più drammatico del disco, nel quale Springsteen ricerca volontariamente una certa insistenza melodica. Ho letto in giro alcune recensioni che reputano la canzone come il punto più basso del disco....saranno forse le impressioni di chi recensisce duecento dischi all'anno?

Ci si avvia alla parte conclusiva del disco, con una "Rainmaker" molto vicina ai suoni di The rising - ma la slide acustica è un bel regalo a noi classicisti - ed una "If I was the priest" che è la cartina tornasole di cosa si può fare con un buon giro di accordi e la E-Street Band a libro paga: perfetta. 

Resta da parlare di "Song for orphans", un altro pezzone, stavolta a ricucire il cordone ombelicale mai reciso con Bob Dylan. E' probabilmente il più grande erede di Dylan quello che sta cantando nel bel mezzo della tempesta ormonale della E-Street Band, quasi come un capitano che dirige la ciurma ebbra verso il primo porto sicuro: altri 6 minuti indispensabili, trascorsi come un afflato di vento tra assoli di armonica e duelli chitarra/pianoforte. Perchè, perchè, perchè così tanti anni senza tutto ciò?

Oggi è il 2 Marzo del 2021. Sono passati 4 mesi dall'uscita di Letter to you. Nel mezzo, un Natale recluso in casa, la pandemia che mina le nostre anime ed il futuro. A febbraio ho salutato mia nonna - la mia amata nonna - che avrebbe apprezzato la sincerità quasi rurale di questo album. A proposito Delia, ti amo e lo farò per sempre! Quattro mesi per scrivere la recensione di un disco perfetto, quasi violento nel suo essere dannatamente bello ma anche capace di far male nel senso più emotivo del termine. Qui è tutto sopra le righe: la scrittura, la composizione e la scomposizione ed anche la produzione. Una produzione che sembra portarci al centro della E-Street Band, in mezzo al palco come ascoltatori privilegiati. I suoni sono veri, palpabili ed il lavoro di Ron Aniello nel produrre l'intero disco è stato quello di rendere al massimo il concetto di una band che lavora al suo massimo non per crogiolarsi dietro un clichè, ma per donare un'emozione. 

E' la E-Street Band baby, prendere o lasciare, col quel suono fenderoso di Lofgren e Van Zandt che taglia l'aria, così diverso dal sound rotondo e Gibsoniano degli Heartbreakers di Tom Petty, un'altra macchina da guerra. E noi, qui in cuffia, a ringraziare per i pianti trattenuti e per quelli difficili da trattenere. 

Epocale, nel 2020. Mirabile dictu. 


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