3 manifesti a Ebbing, Missouri

Il cinema tra le grandi arti "moderne" è indubbiamente la più completa, riuscendo ad utilizzare contemporaneamente la narrazione della letteratura in connessione con la musica (ed ovviamente, con la vista). Per questo forse a torto l'ho sempre considerata meno attraente della letteratura o della musica, perchè in queste ultime due lo spazio lasciato all'immaginazione personale è importante. Come disse il buon Dylan: "Con una mia canzone potete farci ciò che volete, anche fraintenderla" il che mi sembra un messaggio di libertà non secondario.

Quando però il cinema è fatto ad alti livelli, anche un animale da divano come il sottoscritto cerca disperatamente di incastrare il dovere coniugale, la disponibilità della baby sitter ed una serata scevra da impegni per fiondarsi al cinema. La pellicola in questione è 3 manifesti a Ebbing, Missouri un film che, tra l'altro, agli ultimi Oscar è valso la statuetta di Miglior Attrice e di Miglior Attore rispettivamente alla grande Frances McDormand ed al controverso (nel film) Sam Rockwell.

La vita nella sonnolenta Ebbing viene scossa da Mildred, una madre alla quale è stata uccisa la giovane figlia per mano di uno stupratore ancora a piede libero. A distanza di qualche mese la polizia non è stata ancora capace di individuare nemmeno un indiziato e così Mildred, carattere spigoloso e combattente, affitta tre enormi manifesti pubblicitari all'entrata della città per denunciare l'immobilismo dello sceriffo, con una polizia "più attenta a menare ai negri" piuttosto che risolvere il problema.

La concatenazione degli eventi è imprevedibile perchè, come ormai ben sappiamo, l'animo umano risponde in maniera diversa ad una provocazione così grande. Il fil rouge però dell'intero film conferma la situazione attuale dell'America perduta, quella delle provincie disperse dove razzismo, legge e convenzioni sono un tutt'uno.

La polizia dunque diventa un rifugio per razzisti seriali dal manganello facile, divisi tra l'odio per i neri e quello per gli omosessuali. La popolazione si divide tra chi appoggia l'operato di Mildred e chi la critica apertamente. Lo spaccato della provincia americana è crudo e sincero: bassa scolarizzazione, il canale televisivo locale come unica fonte di informazione e l'alcool come rifugio costante. In questo scenario il racconto è drammatico ed ironico allo stesso tempo, a volte estremizzato ma mai surreale.

La stessa Mildred è un anti-eroe, una protagonista piena di eccessi, probabilmente una fervente repubblicana la cui morte della figlia acutizza il carattere spigoloso, tutto il contrario di quello che potevamo attenderci dalla protagonista dei primi istanti della pellicola. Sembra quasi di assistere al racconto della destra americana divisa in due, l'odio razzista da una parte e la voglia di giustizia dall'altra, entrambi con eccessi.

Il film di Martin McDonagh lascia il segno assestando un colpo alla "pancia" del paese, laddove tutto è concesso e tutto rimane sotto traccia. E' probabilmente questa l'America che massicciamente ha scelto Trump, contraddittoria, armata sino al collo ma convinta di essere nel giusto. Nella sua grandezza, il film mi ha ricordato il Clint Eastwood regista ed interprete di Gran Torino, ormai datato 10 anni fa, i cui argomenti sono drammaticamente gli stessi.

Un'ultima cosa, per chi come me ama la geografia politica americana. Ebbing non esiste, è una città inventata dagli autori del libro da cui il film è tratto. Tutta la pellicola è stata girata in North Carolina, precisamente in una piccola cittadina chiamata Sylva, ai piedi degli Appalachi e non lontana dal confine con la Georgia.   

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