Quando la musica finisce

Quando la musica finisce ognuno ripone gli strumenti nelle proprie custodie, ci si saluta con un abbraccio, ci si accorda sui prossimo brani sui quali lavorare e, tranquillamente, si entra nella propria auto e si torna a casa. Da qui in poi ricomincia la vita privata. Ricominciano le bollette da pagare, il lavoro che non è più una soddisfazione ma una costrizione. Ricomincia quel tale in tv che come un mantra ripete sempre le stesse cose: che serve onestà, che bisogna ricominciare da zero, che non pagheremo più tasse e così via. Un disco rotto, l'ennesimo di questo paese.

Vi sembrerà l'incipit di un articolo sulla situazione sociale italiana. Forse non vi state nemmeno sbagliando. Il fatto è che "quando la musica finisce" tutti noi dobbiamo fare i conti con le difficoltà di portare a casa la pellaccia tutti i giorni. Populista? No, c'è una motivazione per questo discorso. La motivazione, senza volere e tanto meno potere fare riferimenti troppo precisi, sta nella storia di sei uomini che suonano in una band. G è il cantante, A e GR sono i chitarristi, L suona il basso, E la batteria ed M le tastiere. Non sappiamo se sono bravi oppure no. Sappiamo però che lo fanno con passione ed onestà. Una passione rafforzata dall'amicizia di cinque di loro che in quattro anni insieme si è allargata ad M. I sei sono uomini ormai, quasi tutti hanno una famiglia, alcuni hanno figli.

Ebbene in questa storia di ordinaria tranquillità una mattina bussa alla porta La Crisi. La Crisi è un mostro multicefalo creato dall'uomo, anche se lui ancora non ha compreso i suoi errori e quindi non ne ha capito la genealogia. La Crisi colpisce ancora oggi, ma la conosciamo già da 10 anni. Per qualcuno se n'è andata. Per qualcun altro sta per essere sbattuta fuori. Per altri è ancora dietro la porta pronta a rientrare con veemenza. A seconda delle predette idee, ognuno ha chiesto il voto agli italiani e quindi anche a GAGRLEM.

La Crisi dunque arriva in una mattina di metà Febbraio quando un Tribunale della Repubblica Italiana decreta il fallimento di una azienda, precisamente dell'azienda di E ed M. La Crisi, si sa, non arriva mai senza essersi fatta anticipare da qualcuno, pertanto anche in questo caso come un avvoltoio aleggiava da anni sulla ditta, nonostante i proclami di salvataggio avanzati da quelli che chiedevano il voto agli operai.

Chiusura. The End. Tutti fuori nel giro di 24 ore. I sindacati tengono lunghe riunioni in sedi offerte dalla politica per spiegare quello che è accaduto e quello che accadrà, ma è solo un indorare la pillola amara: licenziamento.

Ho provato a farmi un'idea di cosa voglia dire perdere il lavoro da un giorno all'altro. Mi sono ricordato di averlo provato qualche anno fa, quando per motivazioni sconosciute ai più (e soprattutto, a me) non mi fu rinnovato un contratto a tempo che avrebbe portato all'indeterminato. Rimasi due mesi in un limbo terribile di ansia. Mi sembrava che il futuro fosse compromesso. Che da lì a poco non sarei più riuscito a portare avanti le mie passioni o le piccole manie che ognuno di noi coltiva. Mi sembrava ingiusto, perchè il lavoro sta alla base della nostra società. Con un lavoro giusto ed una paga onesta scolpiamo le nostre vite e disegniamo il futuro, non solo il nostro.

Così i sei amici di band si ritrovano a suonare ma sta accadendo qualcosa. Accade che la musica viene contaminata dalla paura. Sembra ci sia un'impellente urgenza di arrivare al termine della canzone. C'è la paura anche di prendersi un impegno per le prossime prove.

"In fin dei conti, dove sarò domani? E se qualcuno mi offrisse stasera un lavoro a cinquecento chilometri da qui, cosa dovrei fare?". Eccola, La Crisi che ha mirato ed ha sparato. Ed ha colpito il bersaglio, ha raggiunto il suo obiettivo: rendere le nostre vite appese come salami sul soffitto della cantina. E la musica è uno dei primi indicatori di quanto le nostre ansie siano vere e presenti. Non puoi nasconderti quando suoni. Se lo fai è perchè c'è una preoccupazione più invadente, un tarlo che corrode la testa lavorando pian piano ma inesorabilmente. Quando leggi questo negli occhi di chi suona con te, torni a casa con l'impressione che tutto stia per finire, oppure che nulla sarà più come prima. Ma soprattutto assaggi l'amaro calice dell'essere adulti in questo secolo e nel 2018.

Noi quarantenni odierni cosa abbiamo in mano? Sarebbe troppo facile rispondere "le nostre vite", perchè in gran parte quelle sono in mano a qualche altro finanziatore. Le vite sono le nostre fino a quando ce lo permettono. Una parvenza di libertà che puzza di prigione stantìa. Se perdi il lavoro, nel 2018 ed in alcune parti di questo paese, purtroppo la stragrande maggioranza, devi fare i conti con l'andartene via. Ce l'abbiamo tanto con i migranti, ma i primi migranti siamo noi e non siamo così distanti da loro. Cambiano i chilometraggi, ma la motivazione di fondo è sempre la stessa. Ci vogliono far credere che la "mobilità sociale" è un bene; io ancora non l'ho capito, nonostante l'abbia provata sulla mia pelle. Nel muoversi "verso" il lavoro ci può essere un rafforzamento della nostra personalità, una crescita immediata verso l'età adulta e le cicute amare. Ma c'è una sconfitta forte dello Stato: non è stato capace di garantirti una vita dignitosa dove sei nato e/o dove sei cresciuto.

Andarsene vuol dire allentare legami, a volte vuol dire scioglierli per sempre. Se M andasse via domani, lui che venti anni fa ha fatto già un percorso simile e pensava di essere stanziale ormai, non lo rivedremmo più. Nel non rivedersi più c'è l'essenza di questa contemporaneità, c'è il significato tangibile della società liquida di Bauman.

E quindi Paura. La Paura non è solo quella vissuta dai protagonisti di questa vicenda. E' una paura più estesa, che arriva anche a me, che guardo da fuori e penso che i nostri piccoli progetti, inutili quasi di fronte alle grandi sfide della vita ma importanti per permetterci il nostro piccolo angolo di riposo, potrebbero saltare per colpa della nostra contemporaneità.

Siamo noi quarantenni la generazione perduta. I più vecchi di noi hanno visto cosa era la piena occupazione. I più giovani di noi sono cresciuti con l'idea del precariato e non si sono fatti troppe illusioni. Noi invece abbiamo creduto. Abbiamo creduto nella pacificazione degli anni Novanta. Abbiamo creduto in una classe politica che ha fatto e continua a fare promesse che non possono essere mantenute. Abbiamo creduto nella libertà del grunge, un gruppo di amici che nelle cantine senza troppi fronzoli ha costruito la loro identità.

Anche G.A.GR.L.E.M. hanno creduto ed è giusto che continuino a credere.

Ieri però mentre viaggiavo in auto sotto una pioggia incessante ed un grigiore (esistenziale) intollerabile, mi sono chiesto se tutto sarebbe potuto finire. Se tutti i sacrifici da noi fatti per portare avanti questa bella macchina sono serviti a qualcosa. Se è giusto, soprattutto, accettare le sconfitte solo perchè "è il sistema". Se non volessimo lottare, mi verrebbe da accettare a testa bassa: in fin dei conti, non ci stanno insegnando che 3 pasti al giorno, le bollette pagate ed un weekend ogni tanto sono la nuova ricchezza? Se invece mi fermo a pensare, lo trovo ingiusto: un disegno di vita non si può spezzare perchè non si è riusciti a garantire il primo obiettivo promesso da questo Paese: il lavoro.        

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