La prima volta che le mie orecchie si sono lasciate
ammaliare dal genio di Tom Petty mi trovavo negli Stati Uniti. In quel tempo
frequentavo una ragazza americana, di Bellingham per la precisione, stupenda
cittadina affacciata sul Pacifico in prossimità della frontiera con il Canada,
due ore a nord di Seattle. Ci trovavamo a fare un giro turistico per la costa
quando la radio (quelle si che sono stazioni…) attacca con “I won’t back down”
ed io mi lascio trasportare da questa melodia cristallina supportata da un
pop/rock preciso e finemente costruito. Alla mia ovvia domanda “who they are” la
risposta mi colse sprovveduto, perché Tom Petty di fatto non lo conoscevo. A
distanza di dieci anni non solo ho colmato quella grave lacuna, ma il buon Tom
ed i suoi sodali Heartbreakers sono divenuti una delle mie band preferite,
tanto che il loro suono tipicamente americano l’ho preso da esempio per i miei
Americana, insieme a quello dei Counting Crows.
Tante cose si potrebbero scrivere di Tom Petty, soprattutto
che è stato sottovalutato. Forse perché è esploso nel momento in cui il rock
americano era in grave crisi (i famigerati anni Ottanta), forse perché non è
mai stato innovativo, oppure perché non aveva la faccia da copertina (non era
bello insomma, diciamolo). Eppure Tom Petty da Gainesville, Florida aveva un
talento enorme nel comporre canzoni rock che fossero orecchiabili ma al
contempo senza essere mainstream, dai testi profondi ma senza essere smelensi.
E poi a Petty riconosco il pregio di aver creato quella macchina da guerra che
risponde al nome degli Heartbreakers, che possono essere confrontati con la E-Street
Band e con pochi altri. Un compositore di talento, una band esplosiva che
conosce a memoria i canoni del rock americano e soprattutto mai una caduta di
tono od uno scivolone a partire da quel primo disco del 1976, che già conteneva
una hits come “American girl”, sino ad arrivare all’ultimo “Hypnotic Eye”
datato 2014 e forse ancora più psichedelico e rock del suo esordio. In mezzo,
tanta bella musica e tante grandi canzoni. Dal capolavoro Damn the torpedoes che conteneva la militante “Refugee” a Southern accents del 1985, proseguendo
poi per Into the great wide open (tra
tutte, “Learning to fly”) ed il malinconico Echo.
Inutile dilungarmi però sui singoli dischi, perché il
livello è sempre rimasto alto e Petty, come i più grandi, “non ha mai sprecato
una canzone”. Peccato non averlo potuto vedere dal vivo, mi trovavo a Lucca
pochi giorni prima del suo concerto alla rassegna estiva Lucca Summer e fui
tentato di acquistare il biglietto, ma poi rimandai (mai farlo…).
Non è un caso però se la prima volta ci siamo incontrati in
terra americana.
Ciao, zio Tom
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