Derek & the Dominos - Layla and other assorted love songs

In cima alla montagna dei dischi che hanno forgiato il rock americano c'è un'opera irripetibile, un album dato alle stampe da un supergruppo che non darà mai un seguito al suo capolavoro. La band in questione si chiama Derek & the Dominos, ma si spiega in maniera più comprensibile attraverso i nomi dei suoi componenti: Eric Clapton e Duane Allman alle chitarre, Bobby Whitlock alle tastiere e la sezione ritmica composta da Jim Gordon (batteria) e Carl Radle (basso). Se i primi due scaldano i nostri cuori solo leggendone i leggendari nomi, i compagni di avventura vengono direttamente dalla backing band di Delaney & Bonnie, leggendario combo sudista cui Clapton si era unito in tour per "fuggire via" per un po' di tempo dall'Inghilterra.

La fuga dalla Terra di Albione verso gli States è dovuta principalmente dall'infatuazione devastante che Clapton si era preso per tal Pattie Boyd, al secolo moglie di George Harrison (non c'è bisogno che vi dica chi sia...), nonché miglior amico di Clapton. Nonostante la forza del sentimento fosse dirompente, il buon Eric nutriva forti sensi di colpa per essersi innamorato della moglie dell'amico e così, per allontanarsi dalla fonte di tanta passione, si involò oltre l'Oceano per passare del tempo nella scena musicale Statunitense. Dall'incontro con i già citati Delaney & Bonnie (anch'essi tra l'altro marito e moglie...) Clapton venne a contatto con una serie di promettenti musicisti, quali Whitlock, Gordon e Radle. Contemporaneamente, la fuga non stava sortendo gli effetti sperati, perché col passare dei giorni Clapton scrisse, spinto dal dolore causato dalla lontananza di Pattie Boyd (che comunque sino a quel momento non ricambiava le attenzioni del menestrello), una serie di struggenti canzoni d'amore. E così decise di chiedere ai tre musicisti di provare a mettere su nastro alcune di quelle registrazioni.

Come sede fu scelta Miami e gli Criteria Studios, un luogo mitico dove tra l'altro sono stati registrati album storici quali Eat a peach degli Allman Brothers e la grandiosa "I feel good" di James Brown, giusto per dirne due. Se la qualità dei brani è ottima, il risultato delle registrazioni è deludente, tanto che i quattro iniziano a nutrire dello scetticismo sulla possibilità di portare a termine il lavoro, causa anche l'abuso costante di alcool e droghe da parte di Clapton, sempre più devastato dall'amore non corrisposto della Boyd. La svolta avviene quando la band assiste dal vivo ad un concerto proprio a Miami tenuto dagli Allman Brothers e soprattutto dall'effetto che ha su Clapton il talento sopraffino di Duane Allman, il cui stile chitarristico nell'utilizzo della tecnica slide è unico al mondo. Al termine dell'esibizione Eric si avvicina a conoscere Duane, proponendogli di unirsi al gruppo e "vedere cosa succede".

E la magia ha luogo, perché in pochi giorni la band registra tutto il materiale di quello che diverrà Layla and other assorted love songs, un doppio album suonato in maniera divina da una band in stato di grazia e con composizioni straordinarie: un livello compositivo che Clapton non conoscerà mai più.

Di inglese invero non c'è niente, perché l'anima blues/rock dei suoi compagni di viaggio prende il sopravvento, così come Clapton si scopre cultore della musica americana. Tutti i brani hanno un forte sapore sudista, ad iniziare dall'opener "I looked away", una via di mezzo tra country/pop e blues d'autore, con un sapore quasi soul, che conduce alla prima perla del disco, quella "Bell Bottom Blues" che rappresenta il perfetto incontro tra il blues ed una power ballad intensa e struggente. Le schitarrate di Allman e Clapton si alternano con dolcezza nella strofa per poi scatenarsi in arpeggi e fraseggi decisi nel ritornello, che rimane stampato in testa come una colla a fissaggio veloce. Eccolo il fil rouge del disco: la dolcezza di composizioni dolcemente melodiche, sulle quali i cinque innestano il miglior pop/blues mai sentito: roba per palati fini.

E Clapton, volutamente, non recita la parte del leader, seppure gran parte dei cantati siano suoi, così come quasi tutte le composizioni. Pur essendo il fondatore del combo infatti, il disco suona come quello di una band in cui ognuno fa la sua parte, senza alcuna esagerazione. Su tutti, tre brani vanno citati, perché entrati di diritto nella storia del genere: "Keep on growing", un southern/reggae a due voci, arioso e solare, quasi composto da qualche parte tra la Jamaica e Miami che nel ritornello diventa un gospel/soul: avete qualcosa in più da chiedere? "Anyday" prosegue nella falsariga, ma ha un piglio decisamente più rock, bagnata dal favoloso Hammond di Whitlock e da un bel clima rilassato. E poi c'è lei, una delle canzoni più famose del rock, quella "Layla" che mi fa drizzare i peli in petto appena se ne accenna il riff.

Si potrebbe proseguire all'infinito: la cover di "Little Wing" di Hendrix è un omaggio sincero al grande Jimi (che lui non riuscirà ad ascoltare, in quanto morirà prima dell'uscita del disco), le versioni infuocate di due standard blues quali "Have you ever loved a women?" e "Key to the highway", dove l'interscambio tra Eric e Duane lascia senza parole.

Se volete conoscere il rock americano, Layla and other assorted love songs è una pietra miliare, uno scrigno di tesori nati quasi per caso da una band di fenomeni che, buona la prima, ci hanno donato un disco immortale.

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