Lo stato delle cose di Richard Ford


A pagina 490, a circa trenta dal termine del romanzo, si ha la netta sensazione che un’esperienza indimenticabile stia per finire. Lo stato delle cose (anche se come sempre il titolo originale The lay of the land è molto più appropriato) è l’opera omnia del cosiddetto romanzo psicologico.

Frank Bascombe, il suo protagonista, scava nella profondità della sua anima e dei suoi pensieri in due giornate, il giorno del Ringraziamento e quello precedente, che sembrano porgergli su un vassoio di argento la necessità di tirare le fila della propria vita.

A ben vedere, il tumore alla prostata contro cui Frank sta combattendo (sembra di capire con risultati positivi) mano a mano che le pagine scorrono diventa solo un pretesto, una lente leggermente più grande che serve ad ingrandire gli episodi, un incidente di percorso che lo rende ancora più vulnerabile. Di fondo, però, resta la sua introspezione, la facilità nel leggere le situazioni più inattese della vita, con uno sguardo amaramente ironico.

Naturalmente, la sua turbolenta storia, fatta di due matrimoni conclusi alle spalle, un figlio morto, un altro che nella lontana Kansas City sbarca il lunario scrivendo frasi su biglietti di auguri ed una figlia dichiaratamente lesbica che sta cercando una relazione eterosessuale, rende l’esistenza di questo agente immobiliare sempre sopra le righe, combattuta tra una necessità di normalità ed una tendenza alla fuga. Da chi? Da cosa?  

Si fa difficoltà a pensare che Sea-Clift, dove il nostro protagonista vive e fulcro del racconto, sia solo una invenzione di Richard Ford, in quanto la minuziosa descrizione del freddo Atlantico, della sua vita immobiliare e della sua popolazione, tra il serio ed il faceto, ce la fanno immaginare effettivamente al centro del New Jersey, dove Ford la colloca, tra conurbazione industriale, lunghe passeggiate sull’Oceano e gli aerei che vanno e vengono come formiche da Newark.

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