Augustana - All the stars and boulevards

Essere fuori moda. Per alcuni è una caratteristica imprenscindibile, per altri un vezzo giocoso. Per altri ancora è solamente essere sé stessi, ma nel momento sbagliato. Quale che sia la verità, nel 2005 quattro ragazzi provenienti dal college di Greenville, Illinois e trapiantati nel sole di San Diego, con in mano una manciata di canzoni e messi sotto contratto dalla Epic Records - non proprio l'ultima arrivata - impacchettano gli strumenti musicali e caricano le valigie alla volta di Atlanta, per entrare in studio con il guru dei produttori: Brendan O'Brien. 

Ne usciranno fuori con All the stars and boulevards, un disco che quindici anni dopo (!) è stato praticamente dimenticato ma che ha una tracklist di canzoni belle, convincenti e dal suono dannatamente americano. La song con la quale irruppero nelle chart ufficiali di Billboard fu "Boston", pianoforte e chitarre elettriche per una versione tirata a lucido dei Counting Crows, un testo pronto per essere fischiettato sotto la doccia ("Penso che me ne andrò a Boston/penso che inizierò una nuova vita/ricomincerò da capo/dove nessuno conosce il mio nome/lascerò la California/sono stanco del meteo/mi troverò un amante e volerò in Spagna") ed il solito lavoro perfetto di Brendan O'Brien. Ma se per molti quel disco significa "Boston", per gli amanti del rock americano All the stars and boulevards racchiude una serie di canzoni incredibilmente in bilico tra piglio rock, suono vintage e malinconia emotiva che poche volte hanno trovato spazio in un disco di debutto. 

Il piano elettrico che introduce le danze in "Hotel Roosevelt" lascia spazio ad una deflagrazione nell'accorato ritornello ("Zitta! Ho sbagliato, lo so/ma non possiamo parlarne"), un party a cui sono invitate chitarre distorte e batteria infuriata, in un saliscendi emozionale. Nell'appiccicosa melodia di "Stars and boulevards" si trovano echi del Ryan Adams più ispirato, a cui la voce di Dan Layus deve pagare i crediti. Malinconica ma sempre elettrica, "Wasteland" - un titolo che piacerebbe a Bruce Springsteen - gioca nel confine tra pieno/vuoto e bianco/nero, e la manina magica di O'Brien sembra aver dato più di un consiglio. 

Undici canzoni per poco più di 40 minuti di musica, eppure questo disco degli Augustana è inserito nella mia Top Ten del genere, accanto a mostri sacri quali Bringing down the horse dei Wallflowers ed August and everything after dei Counting Crows. Per il successivo Can't love, can't hurt sceglieranno Mike Flynt al banco di produzione ed i più vicini Pass Studios di Los Angeles, con il risultato di tornare nella mediocrità. Ma All the stars and boulevards è ancora oggi una pietra miliare del genere. 

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