The Rolling Stones - Exile on Main Street

Lo sapete, gli Stati Uniti come nazione sono iniziati ad esistere solo qualche decennio fa. Quella terra bellissima dell'America del Nord era popolata dagli Indiani che, con metodi che purtroppo sono noti da tempo, sono stati annientati da uomini bianchi provenienti da qualsiasi parte del mondo, prevalentemente Inghilterra, Scozia ed Irlanda, ma anche Spagna, Olanda, Francia, Italia, Germania, Ucraina. Un melting pop gigantesco che ci fa capire come gli Stati Uniti nascano in realtà come incontro di culture (e Trump muto, come direbbe qualcuno).

Questa introduzione mi serve in quanto anche il rock americano di cui parla questo blog ha i suoi antenati fuori dai confini americani, esattamente in Inghilterra. E' infatti dall'incontro tra la British Invasion ed il blues/folk che i musicisti americani hanno avuto la scintilla per dare vita a quello che oggi conosciamo come il rock tradizionale a stelle e strisce.

Potremmo citare numerosi dischi, ma a mio avviso Exile on Main Street dei Rolling Stones ha un ruolo centrale nella definizione di un sound che da lì a poco sarebbe diventato tipicamente americano.
Dato alle stampe nel 1972, Exile on Main Street svela tutte le sue carte già nel titolo. Si può disquisire se la Main Street sia il nome della strada principale di ogni singola cittadina americana, se sia quella più famosa di New York o se sia il blues, ma il risultato non cambia. Il disco è infatti una gigantesca immersione degli Stones nel blues, con gli schemi però del rock'n'roll, il suono di una rock band e la costruzione melodica del pop.

Tutto questo è Exile on Main Street e forse anche di più. In questo album infatti la formula degli Stones cambia rispetto ai precedenti lavori, con una massiccia introduzione del pianoforte nel suono della band, Richards e Taylor che raggiungono un equilibrio perfetto tra le loro chitarre ed episodi tipicamente boogie come "Rip this joint" o il proto-blues/gospel di "Tumbling Dice", addirittura scelto come singolo promozionale.

Se qualcuno si fosse chiesto da cosa nascessero i Black Crowes, questa è loro influenza maggiore e sono sempre più convinto che "Rocks off", all'apertura del disco, sia un manifesto musicale perfetto per chi poi ha creato Counting Crows o Wallflowers, senza dimenticare il compianto Tom Petty.

C'è tutta l'America in Exile ed è buffo pensare che sia opera di una band inglese che si rifugia nella Costa Azzurra, dimostrazione che la musica non ha confini. D'altronde solo l'anno precedente i Rolling erano negli Stati Uniti per registrare il bellissimo Sticky Fingers nei famosi Muscle Shoals Studios, evidentemente un'esperienza così coinvolgente da risultare fondamentale per il futuro della band.

Sono passati 46 anni, ma questo disco è un capolavoro assoluto.   

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