American Aquarium - Things change

Things change, l'ottavo album in studio degli American Aquarium, rischia di essere non solo il più convincente della loro discografia, ma addirittura il viatico per arrivare ad un pubblico più vasto, obiettivo che meriterebbero in pieno. La creatura di BJ Barham ha preso in toto le sembianze del suo padrone attraverso un disco nostalgico ed al contempo energico, con le sonorità intense del Sud, la chitarra acustica in prima linea e, soprattutto nel finale dell'album, il violino che arriva a farci assaporare quell'atmosfera caratteristica.

"Le cose cambiano" canta Barham e per lui effettivamente questo disco è un nuovo inizio. Con il precedente Wolves infatti (da cui sono passati 4 anni) si è chiuso il primo tempo degli American Aquarium. Alla fine del tour infatti tutti i suoi musicisti se ne sono andati dal gruppo, un po' per divergenze artistiche, un po' per cambiare vita e tornare agli anonimi lavori della provincia americana. Barham aveva davanti sé due strade da percorrere: proseguire con una carriera solista promettente (il suo debutto solista Rockingham ha riscosso un successo inatteso) oppure provare a rimettere insieme la band. BJ ha optato per la seconda scelta e nonostante l'impresa debba essergli costata qualche capello bianco, ecco la nuova versione degli American Aquarium, decisamente più rock nell'istinto, meno indie nella forma ma soprattutto più focalizzata nel costruire intorno alle canzoni chitarra e voce del leader un suono convincente, segno che gli American Aquarium sono pronti per platee più ampie.

Dunque "Le cose cambiano" e ce ne accorgiamo subito con la ballad iniziale "The world is on fire" in cui alla storia di una ragazza in bilico si lega il racconto dell'America che ha virato verso Trump ("Da quando la Terra della Libertà è diventata la Casa della Paura?") mentre "Crooked+Straight" la butta sul rock con una veemenza che dagli American Aquarium non ci saremmo mai aspettati. "Tough Folks" dietro un mare di chitarre solari cela un testo di grande profondità, con il racconto di un North Carolina (e di una Raleigh soprattutto) in piena decadenza ("Provengo dalla stirpe dei coltivatori della Carolina, per anni il tabacco è stata la risposta, ha tenuto le luci accese ed ha portato il cibo in tavola, fino a quando i dottori hanno iniziato a chiamarlo cancro"). 

C'è tanto arrosto in questo Thing change, come la ballad "One day at a time" in cui Barham sfodera la sua acustica e ci racconta il disfacimento della precedente band e la voglia comunque di ricominciare, mentre in "Work conquers all" (il titolo basta) la buttano sul country più puro, episodio comunque altrettanto sufficiente.

C'è tutto in Things change: una band in grande spolvero, un leader cantastorie dalla penna acuta, un suono finalmente centrato e la voglia di andare diretti sia al cuore che alla testa. Personalmente, un disco da cui difficilmente riuscirò a staccarmi. 

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