Superchunk - What a time to be alive

Chapel Hill, North Carolina. Se questa città a prima vista non vi dice niente non siete né ignoranti né poco informati. Chapel Hill in North Carolina è una cittadini di poco meno di sessantamila abitanti, lontana dall'Atlantico e dalla più famosa Charlotte e sede dell'Università della Carolina del Nord. Insomma, non ci siamo persi niente, tranne che se l'argomento è il rock indipendente.

Già, perchè per una strana congiunzione astrale, di certo la presenza di un'Università e la lontananza dalla frenesia delle metropoli hanno contribuito a creare uno dei fenomeni musicali più inspiegabili degli ultimi trentanni. A Chapel Hill, dalla fine degli anni Ottanta per poi proseguire negli anni Novanta, sono nate alcune tra le band indie più influenti ed importanti: gli Archers of Loaf (forse i più famosi del lotto), i Doleful Lions, la psichedelia dei Polvo, il pop/rock indipendente dei Ben Folds Five e potrei continuare in questo elenco citandone almeno altri dieci. Tra questi, non secondari ed anzi in primo piano, i Superchunk che con il recente What a time to be alive, uscito nei negozi esattamente una settimana fa, hanno dato alle stampe il loro undicesimo album dal 1990, anno del debutto discografico.

Una storia lunga e sempre onesta, fatta di punk rock indipendente senza mai svendersi e senza mai perdere il filo del discorso. Ebbene, nonostante i tanti anni trascorsi, questo What a time to be alive rischia di essere il loro miglior lavoro, il più coeso, il più focalizzato. La band capitanata da Mac McCaughan non si risparmia ed in poco più di mezz'ora (bravi ragazzi, nel punk troppi fronzoli non funzionano) presentano undici brani tesi ed incazzati, scritti di getto contro la piega (politica) che stanno prendendo gli Stati Uniti.

Le danze si aprono con la muscolosa title track, un rock tirato in cui spicca, oltre alla melodia, la bella chitarra di Jim Wilbur, grande protagonista dell'intero lavoro, presente in dose massiccia in ogni canzone tra assoli killer ed accompagnamenti arrembanti. "Break the glass" è uno dei vertici dei Superchunk; siamo nettamente dalle parti dei Pixies più arrabbiati, sempre con la foto dei Clash sul comodino. Anche "Erasure" sfiore la perfezione, con una melodia quasi pop e marmellata di chitarre.
L'ascoltatore non viene mai fatto rilassare, non c'è un momento per rifiatare: se dovevano essere trenta minuti di fuoco l'obiettivo è stato centrato nel migliore dei modi.

E voi, suvvia, informatevi un po' su Chapel Hill..... 

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