La musica di Tom Petty e la sua eredità

Tom Petty se ne è andato il 2 Ottobre dello scorso anno. Ho aspettato tutto questo tempo per scrivere un ricordo complessivo sulla sua musica e su quanto questa influenzerà il rock che verrà. Perchè, direte voi? Ho atteso il risultato delle analisi, per avere una idea più chiara sulla dipartita del grande cantautore della Florida. Sono sincero, non riuscivo ad immaginarmi Tom suicida e, per qualche strano motivo, non riuscivo nemmeno a vederlo colto da un infarto nel sonno. Troppo attaccato alla vita per la prima ipotesi, eccessivamente banale la seconda. No cari miei, Tom Petty se n'è andato accidentalmente, perchè il mix di farmaci che stava prendendo per le diverse patologie cui era vittima ha frantumato il suo corpo. Potrebbe sembrare stupido scriverlo, ma ciò mi ha consolato. Anzi, mi ha convinto ancora di più che il buon Petty amasse la musica ed il suo pubblico più di ogni altra cosa, tanto da imbottirsi di farmaci piuttosto che non salire su quel palco. Come un ultimo dono a noi fan, ormai orfani di quella voce stridula, di quella scrittura essenziale, di quelle costruzioni armoniche dannatamente efficaci.

Thomas Earl Petty, questo il nome all'anagrafe, nasce a Gainesville in Florida il 20 Ottobre del 1950. Segnatevi bene il luogo, perchè tutta la musica del menestrello continuerà a girare intorno alla sua amata terra di origine. La Florida è terra di contrasti, da sempre. Dalle ville di Miami riservate a milionari alle zone residenziali meta dei pensionati di tutta l'America, la Florida resta comunque uno dei grandi stati del Sud, patria dei Lynyrd Skynyrd e rifugio di Eric Clapton quando deciderà di registrare "Layla...and other assorted love songs" sotto il moniker Derek and the Dominos. Gainesville poi si trova nella zona più peninsulare dello stato, vicina alla Georgia, particolare che ha una influenza nella sensibilità musicale di Petty, che rimarrà per tutta la carriera sospeso tra rock e folk/rock, con una punta ben diluita di Southern rock.

Insomma, il buon Thomas Earl ha una infanzia felice e la musica non sembra rientrare tra le sue predilezioni sino a quando nella sua Gainesville per un concerto arriva Elvis Presley. Il grande Elvis, sogno di una intera popolazione e primo figlio del rock'n'roll, incanta il giovane Petty talmente tanto da farlo convincere della necessità di imbracciare la chitarra. Come tutti i comuni mortali, l'approccio con la musica suonata avviene con le band del liceo, tra cui i Mudcrutch, in cui incontra due pilastri che lo accompagneranno per tutta la vita musicale: il chitarrista Mike Campbell natio della vicina Jacksonville ed il tastierista Benmont Tench, uno che nella vita oltre a suonare nei mitici Heartbreakers presterà il suo talento a Johnny Cash, Bob Dylan ed i Rolling Stones (per dirne giusto tre). Per la cronaca, lo stesso Petty dirà che oltre ad Elvis, la voglia di mettere su una band gli venne dal vedere all'Ed Sullivan Show i Beatles, nella famosa tournee che fece scoprire all'America i quattro di Liverpool (lo stessa visione influenzerà Bruce Springsteen nell'intraprendere la carriera musicale).

La vita dei Mudcrutch fu breve e, deluso dal termine dell'esperienza nella band, Tom decide di mettersi in proprio. Contemporaneamente, Benmont Tench inizia a suonare con altri musicisti del territorio, tra cui Ron Blair (bassista) e Stan Linch (batterista). Il suono dei tre, corposo ma nella tradizione della musica americana, piace molto a Tom, che richiama il sodale Mike Campbell per formare la prima versione di quelli che diventeranno gli Heartbreakers. La penna, ovviamente, è quella di Petty ed il primo singolo ad uscire è "Breakdown", un pezzo da "on the road" in cui la maestria di Tom e la compattezza degli Heartbreakers sono già in bella evidenzia. Il ritornello è di grande impatto e l'impasto sonoro tra chitarra e piano Fender (il grande Tench) lasciano presagire un buon futuro per la band. Il singolo ha fortuna negli Stati Uniti, dove arriva al posto n°40 della classifica di vendita. Quando esce il primo album della band, semplicemente intitolato "Tom Petty & the Heartbreakers" il mito è già nei solchi del disco, con un paio di canzoni che si elevano magicamente dal resto dell'album. La prima è lo straight rock'n'roll di "American Girl", tre minuti e mezzo di potenza ed ancora oggi tra le più belle canzoni del cantautore di Gainesville. E poi il blues'n'roll di "Anything that's rock roll", molto vicino agli Stones (quelli più ispirati).

Visto che l'incipit è quantomai convincente, per il seguito bisogna aspettare il 1978. Il titolo dell'album è "You're gonna get it" ed anch'esso contiene almeno due grandi canzoni: "Listen to her heart" e "I need to know". La prima è già un manifesto della musica americana, con il crunch delle chitarre a dialogare, i cori perfetti degli Heartbreakers e quintali di melodia. In tre minuti (anche in questo caso), Petty concentra tutta la scrittura, ed ha il tempo di lasciare Campbell a scorrazzare con un bellissimo assolo. Quindici anni dopo i Counting Crows riprenderanno questi suoni per il loro debutto, ed allora saranno chiare molte paternità. "I Need to know" è più arrabbiata, quasi contagiata dal punk che soffiava forte da Londra, ma poi il piano di Tench riporta tutto in carreggiata. In generale il disco è bello carico e lo si intuisce sin dalla iniziale "When the time comes", ritmo incalzante e chitarre in bella mostra. You're gonna get it insomma basterebbe ad instradare Petty ed i suoi sodali verso una carriera luminosa, solo che, come tutti i grandi della musica, manca ancora qualcosa, il disco della consacrazione, quello nel quale (magicamente) tutte le caselle vanno a posto.

Quel disco risponde al nome di Damn the Torpedoes. In copertina un malizioso Tom Petty imbraccia fiero la sua Rickenbacker ed è già un indizio. La Rickenbacker infatti sino a quel momento era passata alla storia per due gruppi in particolare: i Beatles (Harrison e Lennon l'hanno utilizzata spessissimo) ed i Byrds. Proprio questi ultimi sembrano diventare la bussola di Petty: facilità nella costruzione delle melodie, chitarre graffianti ma mai troppo distorte, intreccio dei cori. Il messaggio che dunque Petty manda dalla copertina è abbastanza chiaro, le canzoni lo confermano appieno: "Refugee" è ancora oggi un classicone, "Lousiana Rain" uno dei primi lenti convincenti del gruppo, il crescendo di "Even the losers" è ancora oggi magico. Insomma, è la consacrazione di un ottimo cantastorie e di una band ineccepibile. Inoltre, il disco si inserisce in un vuoto discografico importante. Pubblicato nel Novembre del 1979, dunque ultimissima propaggine dei mitici Settanta, riesce a farsi strada anche grazie alla crisi delle band storiche del rock. Gli Zeppelin sono alla fase conclusiva, così come The Who, mentre gli Stones si sono di poco risollevati con Some Girls dell'anno precedente, ma l'impressione è che il periodo d'oro sia definitivamente passato. Rimane Bruce Springsteen, che guarda caso con Tom Petty sino ai giorni nostri rappresenterà il vertice del rock americano. Anche in questo caso però la fortuna arride a Petty & C. perchè per il Boss il 1979 è un anno di pausa discografica tra due colossi: Darkness on the edge of town dell'anno precedente e The river che arriverà nell'Ottobre del 1980, un anno dopo Damn the Torpedoes. 

Sia Springsteen con la sua E-Street Band che Petty con i fidi Heartbreakers hanno il pregio di riportare in auge il suono tipico del rock americano, i cui predecessori nel decennio precedente erano stati Bob Dylan & the Band. Gli Heartbreakers si presentano infatti con la formazione a due chitarre, basso, batteria e tastierista; il ruolo dell'organo e del pianoforte in questo contesto musicale è fondamentale, così come lo fu per The Band (che addirittura annoveravano due tastieristi) e com'è per la E-Street Band. Non bisogna poi dimenticare che Petty (esattamente come Springsteen) è un ottimo chitarrista e gli intrecci con Mike Campbell rappresentano una goduria per l'ascoltatore. Con Damn the Torpedoes dunque Petty fa strike ed entra di forza nell'Olimpo del rock, insieme alla sua macchina da guerra Heartbreakers.

Il successivo Hard Promises, datato 1981, resta sul canovaccio vincente del suo predecessore, con un'altra canzone da lasciare ancora oggi agli inni da stadio: "The waiting". Con questo disco si conclude la prima parte dell'era Heartbreakers, perchè nel disco successivo al posto dell'uscente Ron Blair (stanco della vita on the road) entrerà nel gruppo Howie Epstein, bassista di Milwakee che Petty conosce mentre sta producendo l'album di Del Shannon. Epstein, prematuramente morto nel 2003, diventerà una figura molto amata dai fan per la sua bravura al basso e la sua presenza scenica.

Gli anni Ottanta del menestrello di Gainesville sono anni di combattimento, perchè il resto della discografia mondiale ha abbracciato l'edonismo frivolo Reaganiano, impera nelle classifiche il pop interpretato dai capelloni bigodinati ed anche nel rock (o quello che ne rimane) vanno di moda i panta-collant e le storie da ragazzine alla prima mestruazione (Bon Jovi vi dice qualcosa?). Il buon Tom se ne frega, motivazione per la quale sarà uno dei pochi ad uscire a tasta alta dal "decennio terribile". La sua scrittura e le interpretazioni degli Heartbreakers infatti rimangono ancorate ad un rock diretto e dai suoni veri: lo studio di registrazione resta un luogo all'interno del quale passare meno tempo possibile. Così nel 1982 viene dato alle stampe Long After Dark (che contiene la bella You got lucky), seguito dal particolare Southern Accents (1985), un disco che scorre veloce (nemmeno 40 minuti) e che incorpora massicce dosi di blues e soul, così come promette il titolo. In questo disco, l'influenza di Dylan è ben presente. Certo, si sente un po' di stanchezza compositiva, così come nel successivo (1987) Let me Up (I've had enough) forse l'unico vero passo falso del sodalizio della Florida.

Ma Petty è uomo di mondo, ha talento sconfinato e, come tutti i grandi della musica, anche fortunato. In questo periodo di stanchezza infatti viene invitato ad unirsi ad un supergruppo composto da (squillino le trombe!): Sir George Harrison, Sua Grandezza Bob Dylan, Roy Orbison, Jeff Lynne leader degli Electric Light Orchestra ed appunto Tom Petty. Solo a scriverli tutti insieme mettono paura. Tra tutti, Petty e Jeff Lynne sono i meno "leggendari", ma è evidente che per far parte di questa magica squadra i sodali Harrison, Dylan ed Orbison li considerano importanti per condurre in porto la realizzazione del disco. Senza troppo addentrarmi in particolari nè tantomeno recensire l'album che ne scaturì (The Traveling Wilburys Volume 1 come il nome si diede la band), effettivamente l'apporto dei due fu fondamentale: laddove Lynne contribuiva con melodie ed armonizzazioni corali, Tom Petty affiancava giorno dopo giorno Bob Dylan (suo idolo da sempre) non solo per supportarlo nella scrittura dei brani, ma soprattutto per carpirne l'essenza musicale.

Sarà dunque questa con i Traveling Wilburys l'esperienza che permetterà a Petty di spiccare definitivamente il volo. La vicinanza con Dylan infatti lo ha convinto della necessità di prendersi una pausa dagli Heartbreakers, allontanarsi dalla rigidità di una rock band così numerosa per tornare a scrivere chitarra e voce. Ironia della sorte, Petty è probabilmente una delle poche voci al mondo al essere accostabile a Dylan. Quello che dunque doveva essere un periodo di eremitaggio si trasforma nell'impellente necessità di registrare un disco, avendo in pochi giorni tra le mani alcuni brani che Petty reputa "interessanti". Entra qui in gioco l'amicizia nata con Jeff Lynne, che viene assoldato non solo come produttore ma anche come deus ex machina dell'intero lavoro. Petty racconterà che in poco più di due settimane il disco, chiamato Full Moon Fever, era pronto, al ritmo di una canzone registrata (ed a volte scritta) in un solo giorno. E' il 29 Aprile del 1989 quando Full Moon Fever si svela al mondo e tutti, fan e critica, sono unanimi del decretarlo il capolavoro atteso da tempo. Nulla è fuori posto in questo disco: l'iniziale "Free Fallin" gira su tre-accordi-tre, un folk antemico curatissimo nei suoni, un classico già al primo ascolto. Seguono il rock tirato di "Love is a long road", con un intro che occhieggia agli Who che incontrano gli anni Ottanta. Il blues-rock di "Runnin' down a dream" ci presenta il solito Petty stradaiolo, ma poi "I won't back down" ci riporta dalle parti di Dylan, con la bella chitarra slide di George Harrison, qui anche ai cori. Il disco è perfetto e non mancano i fidati Mike Campbell e Benmont Tench. Insomma, gli Heartbreakers lavorano in incognito e ci mettono del loro.

Rivitalizzato dal successo planetario di Full Moon Fever, Petty continua a beneficiare di un momento di grazia nella scrittura. Nel 1991 torna con i fidi Heartbreakers per il disco Into the great wide open, portandosi dietro come produttore l'ormai fidato Jeff Lynne.

Gli anni successivi portano nella band due importanti rivoluzioni: l'entrata di Scott Thurston, multistrumentista che spezierà tra chitarra, armonica e tastiere, e la sostituzione di Lynch con il turnista Steve Ferrone, batterista già conosciuto a livello mondiale. Ecco che gli Heartbreakers diventano ancora di più una macchina di guerra rock. E così nascono due dischi fondamentali per la storia della band: Wildflowers (1994, anche se accreditato al solo Petty) ed Echo (1999). In questi dischi si nascondono alcune tra le canzoni più intense del grande menestrello della Florida, la commuovente "Room at the top", l'impeto quasi punk di "You wreck me", il folk pop di "Counting on you" e tanti altri capolavori. Un canzoniere di rock americano che rasenta la perfezione, suoni che arrivano dalla tradizione miscelati con sapienza: tutto quello che un buon disco di rock americano deve possedere.

Non siamo ancora entrati nel nuovo millennio e già Tom Petty ha lasciato la sua impronta indelebile nel mondo del rock. In realtà anche i dischi più recenti, il ritorno al blues di Mojo (2010) o l'occhio strizzato alla psichedelia dell'ultimo Hypnotic Eye, datato 2014, nulla aggiungono e nulla tolgono alla grandezza di un uomo che, partendo dal sogno di un bambino che vuole imitare Elvis, ha portato il rock americano all'eccellenza, gli ha donato nuova linfa nei solchi della tradizione. Ma soprattutto Tom Petty ha scritto grandi canzoni, immediate e struggenti, da ballare o da piangerci su, semplici eppure devastanti che, perdonate l'accenno personale, mi hanno cambiato la vita.

Come si evince da questo articolo, nulla avrebbe potuto senza la sua arma vincente, gli Heartbreakers, una band meravigliosa pronta ad assecondare la scrittura di un campione.

Ciao, zio Tom.










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