Kenny Wayne Shepherd Band - Lay it on down

Kenny Wayne Shepherd fa parte di quella sezione musicale che comprende grandi chitarristi rock/blues contemporanei, influenzati in maniera poderosa da Hendrix e Stevie Ray Vaughan (il secondo in particolar modo) e che comprende anche nomi quali Popa Chubby, Chris Duarte, Joe Bonamassa, Jonny Lang e molti altri. E’ vero, la musica non andrebbe incasellata in maniera rigida, ma sono egoisticamente certo che questa precisione giovi allo stesso Shepherd, perché le sue qualità di chitarrista lo mettono in prima fila tra i grandi axemen moderni nella cornice del rock/blues, mentre quando lui stesso ha cercato di allontanarsi dal genere (quel terribile pasticcio pop chiamato The place you’re in) ha praticamente perso gran parte del suo pubblico.

Ci ha messo dunque tempo il biondo ragazzo della Louisiana a riconquistare la sua audience, tornando in realtà indietro agli esordi di fine anni Novanta, quando non ancora ventenne era esploso proponendo semplicemente il suo blues vigoroso e non avendo paura di copiare qua e la Stevie Ray Vaughan (chi si può fregiare oggi di tanto?). Di quel periodo, fortunatamente, è rimasto qualcosa ed ora con Lay it on down torna con una formula rodata già con How I go del 2011, vale a dire un disco di chiaro stampo rock/blues in cui all’attacco ed alla veemenza del rock è demandato l’incipit dell’album (Baby got gone), per poi lasciare spazio ad episodi tipici da blues texano (How long can you go) o a tipiche ballad da strade americane al tramonto.

Ci sarebbero due recensioni da fare per quanto mi riguarda: quella da chitarrista e quella da appassionato della musica americana. Quella da chitarrista è sempre entusiastica davanti a Shepherd, perché un talento del genere non solo va ammirato ma mi spinge a prendere in mano l’elettrica e studiare minuziosamente queste canzoni (cosa che naturalmente sto facendo in questi giorni).

Da appassionato di musica invece la reazione è meno euforica, perché la Kenny Wayne Shepherd Band rimane un po’ in mezzo al guado, indecisa se essere una grande blues band o una moderna rock band. E questo si riflette nelle contraddizioni del disco: Nothing but the night ha una chiara matrice da rock anni ottanta, Diamonds and Gold un funk/pop simpatico ma distante dal mood del disco, Louisiana Rain una ballatona vecchio stampo che però sa troppo di dejà vu. Resta poi il problema dell’interpretazione vocale: il fido Noah Hunt fa sempre un gran lavoro con la sua ugola che tanto deve al blues classico (e che tanto assomiglia a Jimi Hendrix) mentre le parti vocali di Shepherd da sempre sono mediocri.


Insomma, la soluzione ai mali della Kenny Wayne Shepherd Band sarebbe quella di rimettere il blues al centro del discorso tralasciando sconfinamenti in altri generi, affidare tutte le parti vocali a Noah Hunt e lasciare Shepherd libero di sfogare il suo amore per Stevie Ray Vaughan. Non mi sembra un programma impossibile da realizzare.   

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