Will Hoge - The man who killed love

A me Will Hoge piace. Sarà quella voce sempre perfetta ma mai monotona, da talento che ancora si lascia trasportare dalla passione e qualche volta dimentica le buone maniere. Sarà che i suoi primi dischi erano esempi di rock americano genuino ed a tratti anche muscoloso e poi si è lasciato ammorbidire dal tempo che passa, abbracciando sonorità più calde e sinuose, vagando tra un country moderno e radiofonico ed un soul introspettivo, senza comunque mai dare l'idea di vendersi spudoratamente alle radio.

Insomma, Will Hoge mi piace. Alcuni in questi anni lo hanno criticato proprio per i punti di forza che sopra ho descritto, il non aver mai preso una direzione precisa su tutti. Sei new country? Fai il new country! Sei soul? Ed allora dacci un disco interamente bagnato da fiati e coriste avvenenti! Funziona così nel mondo discografico odierno.

Invece Will Hoge mi piace. Mi piace perchè attinge a piene mani da una tradizione, quella della musica americana, che ha fatto della commistione tra generi la sua fortuna. Ed ora vado a ripescare un disco, The man who killed love, che mi sta impressionando non poco, nonostante (o forse, proprio perchè) sia datato 2006, anni luce per la velocità dell'industria musicale. In questa seconda prova il cantante di Franklin, Tennessee entra a piedi pari nel southern rock, un genere che poi non frequenterà più con questa spavalderia.

Con The man who killed love Hoge piazza un set di dieci canzoni col santino dei Lynyrd Skynyrd nello studio di registrazione. La formula però resta invariata e Hoge si tiene lontano dal manierismo: southern rock si, ma a modo suo. Non mancano dunque le melodie a presa immediata, i riferimenti ad Otis Redding (forse l'influenza più grande per il ragazzo del Tennessee) e quella sensazione di passare tutto al setaccio prima di essere proposto. Certo, è difficile restare fermi davanti a "Love from a scar", che anticipa di dieci anni il nuovo corso dei Whiskey Myers, ma è un souther rock/soul che fa agitare il bacino senza sforare nel clichè.

A molti questa formula non piace, io invece trovo che sia convincente. Un altro gruppo che incenso da tempo (anche se ora si sono sciolti) sono i The Dirty Guv'nash, la cui formula è identica: blues, rock, southern ed un po' di cantautorato mescolati insieme; ritornelli appiccicosi e voglia di ballare assoli di trenta secondi invece che di sei minuti.

Ma soprattutto, che suoni! Un disco che fa convivere la presa live in studio con una attenzione a fare del sound del sud l'epicentro della scrittura.

Un disco difficile da trovare The man who killed love, bisogna avere pazienza e fortuna e scovarlo su Amazon, ma l'ascolto è appagante. 

Commenti