Dopo
il primo e fallito tentativo di far funzionare tutta la
strumentazione iniziammo a migliorare il preistorico e precario
impianto elettrico. Essendo sempre in bolletta, non trovammo di
meglio da fare che “recuperare” (e sto utilizzando un termine
elegante…) quanti più adattatori, prolunghe e cavi elettrici
possibile dalle nostre abitazioni. In un giorno poi costruimmo una
finestra al posto di quella da battaglia che già era presente nella
casetta, pericolante e con i vetri rotti; riuscimmo a realizzare un
buon infisso con delle tavole di legno di quelle per l’imballaggio
delle lavatrici. Col resto delle tavole costruimmo una pedana per la
batteria, che fu coperta da una moquette presa Dio solo sa da dove.
Per quanto concerne le prese, le posizionammo in mezzo ai muri con
dei chiodini, mentre la multipla più grande si trovava al livello di
una piccola finestrella laterale che dava sul campo, dove arrivava il
cavo collegato con il gruppo elettrogeno. La disposizione quasi
finale prevedeva la cassa del basso nella pedana della batteria, noi
tutti in circolo, uno dei due tastieristi con la tastiera appoggiata
su un vecchio lavello. E, magicamente, tutti i cavi funzionavano!
Il
primo giorno di vere prove, lo ricordo bene, fu una magia, un dono.
Il ritrovo era alla Casetta alle ore 15 di un sabato pomeriggio di
inizio Novembre. La giornata era soleggiata e comunque non avremmo
patito il freddo perché in sei in uno spazio così angusto semmai
soffrivamo per l’alta temperatura della stanza. Tra accendere il
gruppo elettrogeno e collegare i cavi passò velocemente la prima
ora. Ore 16: e adesso? Provammo “Wish you were here” all’incirca
20 volte…che emozione, mi sembrava di scoprire il vero significato
della vita, mi sembrava di volare. Ma dopo i Pink Floyd? Andammo sul
classico: Battisti “La canzone del sole”. Venne bene, ovviamente,
perché non si può definire un pezzo complicato, ma di certo se lo
sentissi oggi ci troverei un miliardo di problemi. Al buio delle sei
di sera infine provammo “Walk of life” dei Dire Straits, perché
uno dei due tastieristi sapeva il riff di organo…un disastro, flop
totale. Ma a chi interessava? Non di certo a noi. Tra i tanti
ricordi, quello che resta più indelebile è la sensazione di
onnipotenza, l’idea di aver conquistato il mondo. Non il mondo di
tutti, bensì il nostro mondo. Spento il gruppo elettrogeno e riposta
la strumentazione in un angolo della Casetta, ci sedemmo al buio
davanti la porta. Adesso iniziava a fare veramente freddo. Quel pino
alto che da anni funge da protettore di quel piccolo quadrato di
mattoni si muoveva davanti a noi, riparandoci un poco dal vento
gelido. Penso che in quel tempo lì fuori non parlammo di musica.
Suppongo che parlammo di noi, perché a 17 anni parli di te. Ricordo
però che quel sabato sera non uscimmo nemmeno di casa, ognuno di noi
rimase steso sul letto a pensare a qualcosa. Qualcosa di intimo,
personale. Oppure qualcosa di pratico. Ma qualcosa.
Quell’inverno
proseguì in maniera fantastica: ogni sabato pomeriggio le prove,
sempre con il solito refrain: pompa di benzina, pieno al gruppo
elettrogeno, collegamento cavi, musica. Accadeva spesso (perché
accadeva) che il motore del gruppo elettrogeno si ingolfasse ed
allora perdevamo mezz’ore intere a risalire al problema, togliere,
pulire e rimettere la candela fino a quando non ripartiva. Ad un
certo punto, superate le feste di Natale e di Capodanno, uno dei due
tastieristi portò in sala prove un testo scritto a mano: erano le
parole di “Smells like teen spirit” dei Nirvana (c’è forse
bisogno di presentazioni?). A metà degli anni novanta avevamo ancora
due modi per conoscere il testo delle canzoni in inglese: comprare il
disco (e sperare che dentro vi fosse il testo, cosa di cui purtroppo
Nevermind
era
sprovvisto) oppure armarsi di pazienza e buon orecchio, oltre che di
predisposizione per la lingua, e provare a risalire al testo. Da
ottimo studente così lui fece e mi ritrovai un mano un piccolo
tesoretto: erano poche le band di coetanei che potevano suonare
“Smells like teen spirit” senza improvvisare parole inutili o
gorgheggi preistorici. Il riff lo conoscevamo…mi fa molta tenerezza
il pensare che la nostra era una versione con due tastiere (!) e che
io urlavo per oltre tre minuti, senza alcuna melodicità e solo con
la voglia di spaccare il mondo. Non l’abbiamo mai eseguita dal
vivo, nemmeno quando le cose iniziarono ad andare meglio e noi
diventammo una vera band. Ci sarà stato un motivo, no?
Fatto
sta che alla fine di Gennaio avvenne quella cosa che tutti
aspettavamo con bramosia ed al contempo vivevamo con un terrore
estremo: la proposta per suonare davanti ad un pubblico. La
situazione, a dire il vero, fu un po’ forzata.
(…continua…)
Alex...mi riporti indietro di non so quanti anni...narri meravigliosamente sensazioni che in un modo o nell'altro tutti noi musicisti in un fanciullesco momento della nostra vita abbiamo provato....ed è bellissimo.
RispondiEliminaCaro amico mio, mi fa enormemente piacere che leggi sempre con attenzione questa storia. lo sai bene, perché ci conosciamo da tanti anni ormai, che è vera in ogni singola parola. Non so perché, ma volevo rimettere a posto nella memoria un momento della mia vita, un ricordo così forte con il quale non avevo ancora fatto i conti. Ovviamente il racconto prosegue, ed avrà numerosi capitoli. ti abbraccio, fatti vivo
RispondiElimina