Train - My private nation

Correva l'anno 2003 ed i Train stavano ancora riscuotendo i crediti per il loro successo più eclatante, quella "Drops of Jupiter" che aveva sbancato la programmazione video di MTV e venduto vagonate di copie dell'omonimo album. Esattamente due anni dopo, la band capitanata da Pat Monahan da alle stampe My private nation , dimostrando carattere e coraggio: lo sappiamo bene, dopo un disco dalla fortuna clamorosa alcune band hanno atteso anche un lustro a dargli il seguito.

Invece i Train prendono la decisione più saggia, ma anche la più difficile: dimenticarsi di Drops of Jupiter e dare al pubblico un disco bello suonato, anche trattando tematiche importanti e profonde molto più vicine nell'immaginario collettivo al mondo dell'hard rock che a quello usuale dei Train. E sfornano un capolavoro, con l'aiuto fondamentale di prezzemolino Brendan O'Brien nelle vesti di produttore che ancora non si era venduto al mainstream da classifica e si trovava nel punto più alto delle sue intuizioni musicali. 

La prima traccia mette subito le cose in chiaro, mostrando il canovaccio dell'intero lavoro: chitarre accattivanti, ritmo rock bello sostenuto, tastiere con una percentuale di presenza che ricordano molto il Gillingham dei Counting Crows e poi le linee vocali di Monahan, il vero fulcro dei Train. Melodico, graffiante, perfetto in ogni punto, emozionante e convincente, Pat cavalca il lavoro dei Train assecondandone le parti più dolci ed accellerando nelle asprezze. Tutto questo riassunto nei 4 minuti di "Calling all angels", che ascoltata oggi a più di 10 anni dalla sua uscita è molto più riuscita e convincente di "Drops of Jupiter". I suoni di Brendan O'Brien lavorano in profondità, riuscendo a trovare soprattutto alle tastiere un arrangiamento definito, rendendole l'asse portante della band.

Il lavoro alle chitarre di Jimmy Stafford e Rob Hotchkiss è di grande amalgama e se a Stafford si riconosce da sempre un gusto unico per riff e fraseggi, la ritmica di Hotchkiss è finalmente in primo piano, costruisce e cesella. Con queste credenziali, "All american girl", seconda in scaletta, è bella tosta, con anche echi di fuzz ad intorpidire ancora di più le sei corde.
Come ogni buon disco che si rispetti, il terzo episodio da l'indirizzo a tutto il lavoro, e "When I look to the sky" riparte dai punti di forza di "Calling all angels", con un pianoforte ancora più sognante ed uno special come non se ne sentivano da anni.

Quelli di My private nation sono dei Train che non avremo più il piacere di ascoltare in questa grazia, tantomeno oggi che sono entrati nel calderone pop di canzoni da airplay radiofonico.
Eppure questo è un disco non solo da rivalutare, ma da ascoltare con la massima attenzione, ed entra di diritto nella mia personale categoria degli imperdibili. 

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