Red Wanting Blue - Little America

Fa piacere ascoltare un nuovo disco dei Red Wanting Blue. Dispiace invece constatare che il quintetto di Columbus (Ohio), nonostante la gavetta che li ha portati sin qui, con ben nove dischi prima di Little America in 18 anni di onorata attività, sia praticamente sconosciuto in Europa. Così vanno le cose da noi, è proprio il caso di dire.
Strano, perchè in linea puramente teorica gli ingredienti ci sarebbero tutti: la voce profonda ed intensa di Scott Terry, timbro alla Eddie Vedder più rurale ed una penna sincera, vero protagonista della band; canzoni con uno spiccato gusto della melodia, che sanno dosare chitarre elettriche, acustiche e nelle quali fanno capolino spesso pianoforti ed organi a costruire interessanti trame. Ci sarebbe tutto per avere almeno un po' di visibilità nel vecchio continente, eppure il problema sembra essere nel genere, a cavallo tra il sincero rock americano e, appunto, l'americana, stili che restano indigesti da noi che siamo più propensi a premiare formule pesanti (metal ed hard rock) o fenomeni da baraccone (prendete qualsiasi artista pop a caso).

Tolta la disquisizione iniziale, Little America conferma i Red Wanting Blue come certezza, anche se rispetto al precedente From the vanishing point (datato 2012) c'è meno immediatezza e manca, forse, un singolo trainante. "Audition" del precedente album li avevi portati sino al David Letterman Show, qui invece sia "You are my Las Vegas" che "Back Canyon" hanno meno forza radiofonica. La prima indugia molto su melodia e chitarre acustiche, ma pecca nel trovare il ritornello giusto. La seconda invece è un mid-tempo riflessivo con un testo appassionato, evidentemente roba troppo colta da passare nelle radio generaliste.

Eppure, come per ogni buon disco che si rispetti, questo "Black Canyon" è la vera cartina tornasole di tutto il lavoro. I suoni sono perfetti, a cavallo tra un mainstream mai realmente cercato e la voglia di restare rurali, vivi. E poi Scott Terry, che con la sua bravura offusca la band, che ormai lavora dichiaratamente per lui. Ed i risultati non mancano: "Leaving New York" sino a partire dal titolo non ci prova nemmeno ad allontanarsi dai REM, ed il racconto di fondo non si discosta nemmeno troppo da Stipe & C., solo che questa diventa una cavalcata in puro stile rock americano, con assoli annessi e la sensazione che, finalmente, si può narrare la tristezza nel lasciare la Grande Mela anche con un po' di verve in più. 

Non manca poi il rock pulsante, come in the "Rest of our lives" e "Keep love alive", che ci riportano ad atmosfere più midwest, pochi fronzoli e tanta ciccia. La sensazione però, avvalorata ad esempio dalla lenta ed evocativa "It's all happening", è che i Red Wanting Blue siano volutamente rimasti nel mezzo dell'Ohio e non vogliono cambiare rotta, ed ecco che la seconda parte di Little America si avvicina all'americana, discostandosi da From the vanishing point e quasi certamente abbandonando qualsiasi velleità di tornare a suonare per gli show notturni americani.

A sugellare questa idea sono sia il titolo che la cover del disco: viaggiare fuori dalle rotte del successo, raccontare la "piccola america". Molti non li conosceranno mai, perdendosi però molto.

"Old friends, we're leaving soon
While we were here we had the best of times
Happiness, is our balloon
So we steer it proudly for the blind side
When the credits roll, and the music ends
We'll make our way for Black Canyon
Where all our treasures, family and friends, welcome us into Black Canyon
Children, don't look down
Count on the ground being there every time
The road is yours, so live your lives against the grain and outside the lines"

(Black Canyons)

 

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