The Jayhawks - Rainy Day Music


Necessario passo indietro, seconda metà degli anni ottanta. A Minneapolis, nel profondo nord degli Stati Uniti dove la neve ricopre la città da Ottobre a Marzo, si formano i Jayhawks, coloro i quali, per attitudine, scrittura ed idee diventeranno la cartina tornasole dell’alternative country/americana. Poggiati sulle armonie vocali del duo Gary Louris/Marc Olson e sulla loro dicotomia chitarristica, il primo quasi sempre ad imbracciare l’acustica, il secondo eccellente chitarrista elettrico, i Jayhawks salgono alla ribalta della discografia nel 1992 con un album di rara bellezza intitolato Hollywood Town Hall, vera pietra miliare della musica americana.

Rainy Day Music viene dato alle stampe nel 2003, passati dieci anni dalla sbornia di complimenti per Hollywood Town Hall  e soprattutto dopo la separazione con Marc Olson, che secondo i fan più appassionati (e gran parte della critica musicale) doveva rappresentare la fine creativa della band. Al suo posto Gary Louris assolda Stephen McCarthy, ottimo chitarrista ed esperto di lap steel, e promuove insieme a lui al timone della band Marc Perlman, anch’egli membro fondatore della band nel 1985 e bassista dalle ottime armonie vocali. Insieme a loro, a chiudere il cerchio, Tim O’Reagan dietro le pelli della batteria, entrato nei Jayhawks a metà degli anni Novanta ed ancora oggi membro imprescindibile, e Richard Causon occasionalmente alle tastiere. Al bancone del mixer due vecchie volpi quali Rick Rubin e soprattutto Ethan Johns, che diventerà poi un guru nel produrre dischi nel solco della tradizione di folk rock a stelle e strisce.

Quello che ne esce fuori è un disco memorabile, senza alcuna caduta di tono e senza una nota fuori posto. L’equilibro dei Jayhawks risente principalmente di due grandi influenze: i Beatles da una parte, con melodie cristalline ed una scrittura che reggerebbe anche solo con una interpretazione chitarra e voce, e Simon & Garfunkel, di cui molte canzoni ricordano le sensazioni. E’ il caso dell’iniziale “Stumbling through the dark”, poco più di due minuti di armonie vocali ed arpeggi malinconici, ma anche di “All the right reasons”.
Il clima è disteso anche se è la malinconia a farla da padrona. Mentre negli anni novanta la proposta dei Jayhawks era di una certa ansietà figlia del rock (la vicinanza non solo territoriale con i Soul Asylum faceva la sua parte), questi Jayhawks sono intimi ma non minimali come potrebbe essere nel folk e giocano sino al limite con la tradizione, tirandone fuori capolavori come “Save it for a rainy day”,  brano destinato a diventare la loro registrazione più illuminata. Come se non bastassero gli accordi perfetti, le melodie di canto e controcanti che si incontrano nel ritornello o lo stupendo assolo in bilico tra country ed Eagles, c’è un testo malinconico che esplode in un chorus perfetto:
"Don't look so sad, Marina
there’s another part to play
Don’t look so sad, Marina
Save it for a rainy day
Save it for a rainy day”

Come ogni grande canzone, anche “Save it for a rainy day” descrive magistralmente tutto l’album, facendo cadere in secondo piano anche una bellissima “Angelene”, molto più ancorata alla tradizione dei passati Jayhawks, ma pur sempre di un’altra categoria.

Esattamente come sostiene il titolo dell’album, è musica per giorni piovosi, di certo più adeguata a guardare fuori dalla finestra il freddo Minnesota ed i suoi verdi laghi, ma fortemente indicata per cicatrizzare certe ferite passeggere dell’anima.
Per quanto riguarda invece i Jayhawks proprio in questi giorni è in corso un tour americano dopo un breve scioglimento. Di certo i dischi che hanno seguito Rainy Day Music sono stati di una spanna inferiore. Ma sempre di livelli alti si deve parlare.

Commenti

  1. Mon amì, mi leggi nel pensiero? Uscito dall'ufficio, è stato il disco che ho ascoltato per rilassarmi. Bellissimo, come quasi tutti quelli dei Jayhawks.
    Besos :)

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  2. ehehe, che empatia! Pensa che gira ininterrotamente in auto da domenica scorsa, insieme a Jason Isbell. :-)
    A prestissimo!

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