L'esordio di Don Delillo. Americana, 1970


Don DeLillo ha una struttura contorta, cronologicamente impegnativa per rimettere insieme una sequenzialità nel racconto, a tratti anche filosofica.

Nel suo esordio datato 1970, stupendamente intitolato Americana, questi elementi caratteristici non mancano, a conferma di una maturità narrativa giunta sin da subito. E’ soprattutto l’elemento filosofico a fare da sfondo al racconto, perché l’idea che caratterizza tutto il romanzo è togliere il superfluo dalla propria vita, mostrare le cose come in realtà sono e cercare di guardarle da un’altra ottica. Rispetto alle opere che verranno (su tutte le famose e acclamate Rumore Bianco e Underworld) c’è un gusto maggiore nella descrizione dei luoghi, in parte dovuto alla necessità di ambientare gran parte della storia nel Midwest americano (Fort Curtis, probabilmente luogo di fantasia) che odora di prati sconfinati e noia mortale.

David Bell, il protagonista, è un giovanissimo ed affermato dipendente di un network televisivo a New York, frenetica e pazza come sempre. Decide di prendersi una vacanza accompagnato da tre stralunati compagni di avventura, a bordo di un vecchio camper e munito di una telecamera. Una fuga all’interno dell’America, che scaturirà nella necessità di girare un film autoprodotto, in cui le idee del protagonista sono gli incubi e la realtà quotidiana dell’America.

Come si diceva, è la descrizione dei paesaggi a rendere Americana diverso dai grandi romanzi di DeLillo. La sua scrittura prende aria nelle descrizioni di strade la cui fine si perde nella linea dell’orizzonte, e ciò sembra essere un giusto contrappeso al flusso di coscienza del protagonista, riflessioni sulla vita di chi cerca il cambiamento.

Americana in fin dei conti è un altro viaggio all’interno degli Stati Uniti, ma diversamente da altri romanzi la descrive nella sua nuda verità, spogliata dalla retorica a stelle e strisce. E come al solito DeLillo ci lascia con una sensazione di agitazione, figlia delle nevrosi del nostro tempo.

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