Una pace perfetta. Amos Oz

L’inverno e la primavera della vita hanno sapori, e parole, diverse. Deve essere partito da questa idea, un dato di fatto a ben vedere, lo scrittore israeliano Amos Oz per scrivere Una pace perfetta, un suo romanzo datato 1970 che in realtà trasuda di forte attualità, politica in primis.

Il concetto di fondo che animò la vita dei kibbutz israeliani ha rappresentato uno dei pochi esempi di socialismo reale che abbia trovato applicazione nella società moderna. Un luogo con regole rigide il kibbutz, con segretari eletti ciclicamente tra i residenti, con lavori che vengono effettuati a turnazioni, con la sospensione della moneta ed il ripristino di un baratto contemporaneo: tutto è gratis, se ognuno ha svolto con perizia il proprio lavoro.
Fuori del kibbutz sta per scoppiare la guerra dei sei giorni. Dentro il kibbutz alcuni rapporti sentimentali sono sul filo del rasoio. Il romanzo si svolge in due distinti momenti: l’inverno e la primavera. Nel grigio inverno, dove le attività agricole si interrompono, le giornate hanno la pesantezza dell’attesa, mentre la situazione sociale del paese precipita verso un probabile conflitto. Nella seconda parte, denominata appunto Primavera, i protagonisti del racconto prendono ognuno la propria strada, quasi con una nuova consapevolezza della propria condizione.
Al primo pensiero, distrattamente, Oz vorrebbe farci credere che il cambiamento sia dovuto all’arrivo nel kibbutz del giovane Azariah, un fiume in piena che stravolge la vita di alcuni abitanti. In realtà l’assecondare le proprie inclinazioni è un fiume che scorre senza sosta, e che lentamente scava l’anima della coscienza.
Ognuno di noi va verso il proprio destino, raggiungendo così una pace perfetta. Cosa che invece non accadrà nella realtà politica di Israele, all’inizio di una breve, ma intensa, guerra.

Amos Oz è uno scrittore  etereo, le cui parole descrivono con leggerezza paesaggi e stati d’animo. Già dopo le prime cento pagine i personaggi non hanno segreti, sono davanti gli occhi del lettore  come in una fotografia, anche se il ritmo lento della narrazione dilata tempi e situazioni. Troppa prolissità forse nelle prime pagine, ci vuole pazienza nell’entrare nelle pieghe della storia, accorgendosi che il racconto non ha picchi in alto né in basso.
Di positivo c’è che il romanzo suona terribilmente moderno ad oltre 40 anni dalla sua pubblicazione.   

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