Philip
Roth a volte si spinge oltre il limite. Quella sua propensione
all'ironia che può diventare una battuta continua, anche laddove il
quadro che sta dipingendo è a tinte fosche. E poi l'erotismo che non
manca quasi mai nei suoi romanzi, a volte un mantra superficiale (La
lezione di anatomia),
in altre, come in questo Il
Teatro di Sabbath, una
ossessione che pervade ogni singola pagina.
Quando Roth
si lascia andare in queste lande, il rischio che ne esca un'opera in
bilico tra grottesco e farsa è veramente alto. In realtà è tutto
calcolato, ma bisogna dare retta al nostro istinto di lettori per
comprendere che ci sarà una spiegazione, un messaggio, una
struggente e finale commozione.
Nelle
prime trecento pagine, Il
Teatro di Sabbath è
un intreccio di pornografia e pazzia. Mickey Sabbath non è né
l'antieroe né l'assassino. Semmai, semplicemente, è il protagonista
assolutamente odioso di un racconto estremamente in bilico tra
realismo ed esagerazione. E' un Mordecai Richler ancora più cattivo
Roth, perchè disegna Sabbath come una parodia allucinata, un
perdente consapevole, un insopportabile maestro
dell'autocompiacimento e della distruzione, non solo di stesso.
Certo, Roth
lo rende poetico con il suo passato da burattinaio, ma le lunghe
pagine che si dipanano tra minuziose descrizioni di scene sessuali e
pazzia incontrollata di un sessantaquatrenne artritico renderebbero
impaziente anche il più sfegatato dei fan. Ma è una prova, una
preparazione lenta alle cento pagine, le ultime, probabilmente più
emozionanti che Roth abbia mai scritto.
E così si
scopre che è la morte ad essere al centro del romanzo, il sottile
filo che lega la precaria esistenza di Sabbath. Il suo combatterla
invano, il suo esserne accerchiato. Sabbath vorrebbe morire, ma non
può, nonostante tutta la sua vita sia stata segnata dal dolore
dell'assenza. E' una catarsi sotto gli occhi del lettore quella che
descrive Roth, una allucinata discesa e poi risalita sino a rivedere
la luce, per perdersi poi ancora nell'oblio. E Roth va assecondato in
questo romanzo, bisogna seguirlo pedissequamente senza giudicare il
suo stile grottesco, farzesco. Bisogna solo attendere che Mickey
Sabbath ci faccia partecipi dei suoi fantasmi per comprendere che,
alla fine delle montagne russe, è tutto un discorso intorno al
destino.
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