Harry Manx. Il blues dal West all'Est

La firma inconfondibile che Harry Manx lascia nella musica contemporanea è la fusione tra due musiche leggendarie del continente Americano del Nord. Da una parte il blues. Dall'altra, la musica di origine indiana. Un poco come l'uovo di Colombo, se inoltre si evidenzia la componente country che, leggera, il menestrello giramondo inserisce in molte sue composizioni.

Ma Harry Manx è un polistrumentista, un uomo degli strumenti a corda. Banjo, chitarra acustica, slide, mandolino, tutti fusi insieme, anzi confusi.Addirittura il sitar, per non lasciare nulla alla casualità.
 La scusa è il blues. La scusa è Kelly Joe Phelps. O Ry Cooder, per chi lo preferisce. Sono colonne sonore per film di Wim Wenders, ballate lente da interpretare intorno ad un falò  nel pieno deserto del Nevada. Accordature aperte e bottleneck, accenni di gospel che servono a rendere l'atmosfera ancora più intensa.

E' un crossover dell'America da cartolina. Echi dello Springsteen acustico (la sua voce sembra avere quel timbro inconfondibile del rocker navigato), ricordi di Nashville e tanto blues del Delta.
La sua opera omnia è West Eats Meet, titolo geniale che racchiude il suo credo musicale. The Sound of the great unknown. 

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